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24/11/24 ore

Un matrimonio all’italiana, un racconto scanzonato sull’essere brutte persone



di Giulia Anzani

 

Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo

Lev Tolstoj

 

La stagione prevista dal calendario del teatro Manzoni si conclude così, con la commedia “Un matrimonio all’italiana”, scritta da Roberto D’Alessandro e diretta da Silvio Giordani.

 

La tenda rossa si apre e mostra al pubblico la scena: un salotto con mobili antichi e un po’ sgangherati che richiamano alla memoria la “casa della nonna”, creando un’atmosfera ben precisa, pregna d’italianità.

 

In questa cornice così caratterizzata,  che poi scopriremo essere a Ladispoli, lo stesso Roberto D’Alessandro è Durante, un calabrese vedovo da quasi due anni e tirchio, che annuncia alla sua famiglia la decisione di sposarsi per procura con una donna polacca.

 

Le reazioni, per usare un eufemismo, non sono delle migliori. Sua sorella Mena (Federica Cifola), suo cognato - fratello della compianta moglie - Ciro (Enzo Casertano) e suo figlio Geppino (Giorgio Sales), cercano di farlo desistere. Naturalmente falliscono e arriva Paula (Maria Cristina Gionta), avvenente e pretenziosa giovane donna dell’Est.

 


 

La convivenza tra i cinque personaggi crea situazioni molto divertenti e non fa mancare di certo i colpi di scena. Tra bugie, ipocrisie, parole a mezza bocca, innamoramenti illeciti e tanto altro, lo spettacolo scorre leggero e coinvolgente.

 

L’idea di questa commedia è nata dal desiderio di prendere un classico come l’Aulularia di Plauto e provare a scrivere una cosa contemporanea”, mi dice D’Alessandro. “Ho ambientato la storia all’interno di una famiglia perché è il nucleo della società. Una famiglia riassume il mondo”.

 


 

Notando le diverse provenienze dei personaggi (Ciro è napoletano, Durante e Mena calabresi. Paula, come già detto, è polacca), mi sono chiesta se il tema ricorrente della migrazione fosse un caso. “Il tema della migrazione è qualcosa che mi porto dentro, essendo io stesso un emigrato”, mi spiega l’autore. “L’ho ambientata a Ladispoli perché è la città italiana con il più alto numero di residenti provenienti da altre località. Un laboratorio di globalizzazione umana”.

 


 

Il desiderio di D’Alessandro non era di lanciare un particolare messaggio, ma raccontare “la storia di cinque brutte persone: lo sono tutti, compresa la polacca che però alla fine si rivela la migliore”. Infatti, nel secondo tempo dello spettacolo, la situazione iniziale è ribaltata: Paula si rivela una moglie premurosa e affidabile che, dopo aver scoperto di essere stata presa in giro, decide di andar via da un ambiente tossico, col benestare rassegnato di tutti quanti.

 


 

Una lettura interessante di quelle che sono le contraddizioni di una famiglia e dell’intera società, ormai ricca di multiculturalità e in piena trasformazione, in cui pregiudizi e stereotipi spesso sono superati dai fatti.

 

Posso dire dello spettacolo che sono molto felice della bella compagnia: Federica Cifola, Enzo Casertano, Maria Cristina Gionta e Giorgio Sales. Compagni di lavoro meravigliosi e artisti straordinari. Dell’attenta regia di Silvio Giordani, dei bei costumi di Lucia Mariani. Sono grato alla produzione Teatro Artigiano di Pietro Longhi che ha creduto e prodotto lo spettacolo. Grato al numerosissimo pubblico che sta venendo e che ci fa registrare il miglior incasso della stagione al teatro Manzoni, un ottimo riavvio per gli abbonamenti dello stesso”, conclude D’Alessandro.

 


 

 


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