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24/11/24 ore

The tempest, di William Shakespeare al Globe Theatre


  • Giovanni Lauricella

The tempest è il penultimo lavoro di William Shakespeare, in pratica l’ultimo per completezza di scritto, dove lascia intendere che ha intenzione di abbandonare il teatro quasi per ritornare a ricollegarsi a quello che è la vita normale. Se ci si pensa, William Shakespeare, dopo aver calcato la scena come attore, si era trasformato repentinamente in drammaturgo dall’attività intensissima, come a vivere una seconda vita, e oltretutto aveva ambientato molti suoi lavori in altri contesti temporali e geografici rispetto alla natia Inghilterra; verso la fine desiderava forse un cambiamento di vita radicale che col successivo  ritiro a Stratford on Avon avrebbe realizzato.

 

Infatti, in The tempest, Shakespeare dichiara apertamente che il teatro è pura finzione, come se si togliesse la maschera, in uno sdoppiamento dato dalle continue magie che fa Prospero, il personaggio principale della commedia.

 

Questo “teatro nel teatro” si stratifica con le varie simbologie che hanno i personaggi, che a loro volta sono manipolati o costretti a ruoli indesiderati da Prospero, coadiuvato dalla presenza del suo spirito, Ariel, che trascina la trama nel meta-teatro.

 

Un lavoro già di per sé modernissimo, la cui dinamica è stata ben colta dalla regia (Chris Pickles), che ha voluto una rappresentazione in costumi non propriamente d’epoca, che non lasciano capire bene il secolo in cui si svolge l’azione, e ha operato sfrondature al testo che lo rendono più agevole, quasi anti-shakespeariano se non ci fosse la preponderanza scenica di Prospero.

 

Se si aggiungono le caratterizzazioni molto appropriate degli attori, tra cui i simpaticissimi ubriaconi, Stephano e Trinculo, che si producono anche in belle e trascinanti canzoni insieme al leggiadro Ariel e al suo diametralmente opposto Caliban, compreso l’amore combattuto  di Miranda e Ferdinand, lo spettacolo c’è tutto.

 

Una sceneggiatura piacevole che alle volte tracima in allegra pantomima o in un velato musical come a voler divertire il pubblico; infatti, nonostante sia recitato in inglese, la commedia può essere semplicemente  vista ed ascoltata con grande divertimento.

 

I tempi recitativi, compresi quelli di entrata e uscita dalla scena, sono perfetti, non hai pause di distrazione, è uno spettacolo che ti trascina dall’inizio sino alla fine senza metterti in difficoltà.

Per problemi di lingua ci si dovrebbe annoiare, invece no, grazie alla bravura che solo grandi artisti ben preparati riescono ad acquisire, pur senza usare subdoli accorgimenti di coinvolgimento degli spettatori.

 

Ci si aspetterebbero gli ammiccamenti che di solito si fanno dal palcoscenico o delle frasi tradotte in italiano per destare attenzione: nulla di tutto questo, anzi il contrario, forse è proprio l’asciuttezza della sequenza a coinvolgerti.

 

Una professionalità sorprendente che è frutto del lavoro di giovani artisti, un risultato ragguardevole avvalorato dal gradimento del pubblico.

 

Non mi capita spesso di emozionarmi quando vedo spettacoli italiani, figuratevi lo stupore nei confronti di un lavoro in lingua straniera, seppure di un grande autore come William Shakespeare.

 

Director
Chris Pickles

Composer
Paul Knight 

Costume designer

Adrian Lille

Choreography

Emma Chrispin

Lighting designer

Derek Carlyle

 

FERDINAND
ARIEL, IRIS
Caliban, Boteswain,Ceres
Alonso
Prospero
Anthonio, Stephano
Sebastian, Trinculo
Gonzala, Juno
Miranda
Reapers, Mariners, Shapes, Dogs

 

Edward Andrews
George Caporn
Cory Englis
Ben Higginns
Jonathan Kemp
James King
Oliver Lavery
Illona Linthwaite
Eleonor Russo
The Company

 

Globe Theatre

Villa Borgnese

5-9 ottobre 2016

 

 


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