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24/11/24 ore

Napoli Teatro Festival 2016: Madre di Pietà, amore e morte all'origine della Cappella Sansevero



di Adriana Dragoni

 

Alla Darsena Acton a Napoli, il 16 luglio la chiusura ufficiale dell'edizione 2016 del Napoli Teatro Festival, un'edizione considerata tra le migliori. L’11 luglio, è stata la volta di  “Madre di Pietà. amore e morte all'origine della Cappella Sansevero”, dal libro omonimo di Beatrice Cecaro. Ha avuto la regia di Riccardo De Luca, le musiche originali di Paolo Coletta e i costumi e la scenografia di Annalisa Caramella.

 

Il luogo dove l'opera è stata rappresentata, la location, come si dice, è stata la chiesa di Donna Regina Nuova (nuova si fa per dire, è del 1600, ma la chiesa di Donna Regina Vecchia ha tre secoli in più), la quale è stata da tempo riconvertita in museo: è il Museo Diocesano. È bellissimo, tappezzato da meravigliose pitture, che gli danno, all'interno, una particolare atmosfera colorata. La chiesa si trova, manco a dirlo, a piazza Donna Regina, nel fascinoso centro storico di Napoli, il più antico al mondo e ricco di storie, di misteri e di sangue. A pochi passi c'è il Duomo, con il sangue di san Gennaro che, miracolosamente si scioglie, due volte l'anno. E lì vicino, nella strada di San Gregorio Armeno, la strada dei Pastori, c'è il convento di Santa Patrizia, che ha pure lei un sangue che si scioglie.

 

Questo scenario rende l'atmosfera del dramma di “Madre di Pietà”. Perché proprio qui, nei pressi, si dice, di notte si aggira il fantasma insanguinato, inquieto e inquietante, della bellissima Maria d'Avalos, uccisa insieme all'amante Fabrizio Carafa, nel suo letto nuziale nel palazzo Sansevero, dal suo terzo marito, Gesualdo da Venosa, un grande artista, musicista importante, rimasto nella storia della musica. Sposata la prima volta a quindici anni, Maria era rimasta vedova due volte. La pianse Torquato Tasso, suo vicino di casa. E piansero Fabrizio la madre Adriana della Spina e la moglie Maria Maddalena Carafa, la folle madre dei suoi cinque figli. Questi descritti sono i personaggi del dramma. Ma c'è anche un dipinto, quello di una madonna alla quale Adriana e Maddalena affideranno l'anima di Fabrizio. È la Madonna della Pietà, alla quale è dedicata la celebre cappella di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, quella che conserva il Cristo Velato del napoletano Giuseppe Sammartino.

 

 

Gli attori sono capaci di tenere la scena e l'attenzione partecipe degli spettatori con i monologhi che mettono la loro anima a nudo. Come quello della mamma di Fabrizio  che si domanda: ci può essere dolore più grande del mio dolore? E come quello della moglie folle di Fabrizio, che ci parla a lungo del suo desiderio di mantenersi pura per non andare all'inferno e porta il cilicio e fa i digiuni, nonostante Adriana cerchi di farla ragionare. Non si può, non si deve morire prima di morire.

 

Le attrici che impersonano queste due figure sono veramente brave. E belle sono le danze di Fabrizio e Maria, con gli abbracci, i baci, le carezze, gli strisciamenti e i morbidi stiramenti dei giochi d'amore. Suggestiva la musica che le accompagna e bravi i ballerini. Ma ecco, se posso fare un'osservazione, c'è un errore nella sceneggiatura. Le danze si ripetono troppo spesso e i monologhi delle due donne, specie quelli nella seconda parte, sono ben recitati ma troppo lunghi.

 

 

Anche a me è capitato a volte di scrivere qualche articolo con qualche osservazione interessante, ma fuori luogo, qualche frase intrigante, ma troppo lunga, non entrava bene nel testo. Bisognava tagliare. Peccato, con dispiacere, ma bisognava farlo. Ecco, questo succede al testo di questo dramma. Ha una coda troppo lunga e fuori posto. Con qualche taglio conserverebbe e, anzi, rafforzerebbe il suo pathos e la sua efficacia. Bisognerebbe tagliarlo. Sarebbe un peccato non farlo.

 

 

 


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