Giunge quest'anno alla diciottesima edizione la Biennale di Venezia, Mostra Internazionale d'Architettura, dal 20 maggio al 26 novembre 2023 (pre-opening 18 e 19 maggio) ai Giardini, all’Arsenale e in vari luoghi della città di Venezia. Presidente Roberto Cicutto, curatrice Lesley Lokko – nominata Direttrice del settore Architettura dal Cda della Biennale di Venezia il 14 dicembre 2021 – dal titolo Il Laboratorio del Futuro.
«Le nuove tecnologie appaiono e scompaiono continuamente, offrendoci scorci non filtrati della vita in parti del mondo che probabilmente non visiteremo mai, tanto meno capiremo. Ma vedere contemporaneamente vicino e lontano è anche, per dirla con Du Bois e Fanon, una forma di "doppia coscienza", il conflitto interno di tutti i gruppi subordinati o colonizzati, che descrive la maggioranza del mondo, non solo "laggiù", nei cosiddetti Paesi poveri, in via di sviluppo, arabi, ma anche "qui", nelle metropoli e nei paesaggi del Nord globalizzato.
Qui in Europa parliamo di minoranze e diversità, ma la verità è che le minoranze dell'Occidente sono la maggioranza globale; la diversità è la nostra norma.
C'è un luogo in cui tutte le questioni di equità, risorse, razza, speranza e paura convergono e si fondono. L'Africa. A livello antropologico, siamo tutti africani. E ciò che accade in Africa accade a tutti noi».
Nella manifestazione la centralità dell'Africa è evidente «In primo luogo – ha affermato la Curatrice - l'Africa è il laboratorio del futuro. Siamo il continente più giovane del mondo, con un'età media pari alla metà di quella dell'Europa e degli Stati Uniti, e un di decennio più giovane dell'Asia. Siamo il continente con il più rapido tasso di urbanizzazione al mondo, con una crescita di quasi il 4% annuo. Questa crescita rapida e in gran parte non pianificata avviene generalmente a spese dell'ambiente e degli ecosistemi locali, il che ci pone di fronte al cambiamento climatico sia a livello regionale che planetario».
Poi Lesley Lokko ha menzionato le malattie, le cure e i vaccini insufficienti e tanti altri problemi logistici che ha l'Africa, ma senza mai parlare di come questi fenomeni siano così progressivi: ci dice solo che accadono e che i paesi ricchi dovrebbero risolverli. Una posizione ineccepibile che ha nell'annuncio di una serie di problematiche un monito per tutti e, per chi può, l'impegno per migliorare le condizioni del pianeta.
Una ripetizione o il proseguo delle precedenti biennali di Hashim Sarkis o di Alejandro Aravena, dove l'architettura non doveva rispondere solo allo stile e o alle buone forme, bensì segnare un cambio del paradigma culturale, che vede una componente sempre più consistente di architetti resistenti, quelli che denunciano e non costruiscono contro i “cementificatori”.
Una Biennale di Venezia che scava un solco sempre più profondo con il nuovo che vediamo ultimamente nei paesi arabi e cinesi, dove fanno di tutto e di più, con una spettacolarizzazione dell'architettura senza precedenti da noi, forse perché non hanno alle calcagna i nostri ben pensanti.
Non è certo casuale la presenza di David Adjaye, i giovani AMAA, Flores i Pratts, ZAO, Atelier Masomi, Ibrahim Mahama, Hood Design Studio, speranze di un'architettura diversa da quella consueta per politica e riferimenti sociali.
Il vero e proprio laboratorio del futuro dovrebbe essere incentrato sulla sopravvivenza sul pianeta terra, che sempre più sarà inospitale se non avremo efficienti tecnologie appropriate alle eventualità disastrose che si ripeteranno sempre più frequentemente.
Purtroppo in concomitanza con la Biennale quest'anno si si trova a fare i conti con uno dei disastri alluvionali più grandi che abbiamo registrato in Italia.
Disastro annunciato? No, in verità, si era tutti presi da quello che prima di tutti si associa al surriscaldamento globale, cioè la siccità: infatti essa è l'argomento ambientale trainante della manifestazione trattato dal padiglione portoghese.
Effettivamente eravamo concentrati sul livello dei laghi e dei fiumi sempre più bassi e angosciati perché ultimamente avevamo avuto poca pioggia e un caldo primaverile anticipato, quando siamo stati colti di sorpresa da un maltempo disastroso che i climatologi non avevano previsto, ma nemmeno i meteorologi.
Tecnologicamente le nostre abitazioni non sono progettate per arginare problemi d' inondazioni: a mala pena si parla di “cappotto”, il rivestimento per l'isolamento termico, ma di quello che riesce a preservare un'abitazione dalle acque non se ne sente proprio parlare.
Se si guardano le foto e i filmati delle zone inondate dell'Emilia Romagna, si vede che il livello d'acqua è tale e quale dentro e fuori dalle abitazioni come in tutta l'area circostante perché le case non offrono alcun riparo da emergenze del genere.
Certamente hanno influito negativamente la cementificazione, il mancato governo dei corsi d'acqua ecc. ma le case sono inadeguate e lo si sta verificando giorno dopo giorno nelle zone alluvionate.
La Biennale, in quanto istituzione dello Stato italiano, che beneficia di fondi e agevolazioni pubbliche, si deve fare carico anche di questo problema, oltre che dei seppur interessanti argomenti trattati.
Forse uno sguardo va dato all'Olanda più che all'Africa. Li lo sviluppo urbano è molto al disotto del livello del mare e disastri del genere riescono a contenerli se non a evitarli.
Forse pure il contenuto stesso della Biennale sembra un cane che si morde la coda perché un sud del mondo in rapida crescita demografica comporterà il moltiplicarsi di nuove estensioni di aree edificate che invaderanno il pianeta che s'invoca di salvare. Quelle che si vedono nei padiglioni alla 18 Biennale nel complesso sono mostre furbe limitate a «noi non forniamo soluzioni, poniamo riflessioni sui problemi…».
Dicono così con nonchalance come se ci mancassero altri problemi. Qui in Italia non si riesce a fare un piano casa, abbiamo moltissimi edifici fatiscenti occupati da senzatetto, le istituzioni preposte hanno consegnato la popolazione alle banche che superate tante restrizioni concedono il mutuo, che è il vero programma di pianificazione, finanziamento che lo puoi avere se riesci a pagarlo. Questa “pianificazione edilizia” ha consegnato le popolazioni alla speculazione edilizia e alle costruzioni di bassa qualità che diventa di livello più basso se non vuoi rinunciare a un vano in più. Al tempo del lockdown ci siamo accorti che la maggioranza della popolazione vive in alloggi poco capienti e non del tutto salubri.
Quando ci si mette sul versante della sociologia e dell'antropologia finiti i discorsi teorici ci si ritrova incastrati nell'elementarità delle cose che in questo caso è un tetto dove vivere, messa in questi termini non solo non fai più l'architettura ma neanche un'idea di progetto sociale perché tutto viene assorbito dalle necessità primarie trasformando gli architetti in attivisti della Caritas.
Non solo, proseguendo di questo passo riscontri che la grande sociologia è molto bella e per certi versi facile, mentre quella spicciola, del tipo con quali soldi compri casa e dove, è irritante e riduttiva ma tocca tenerne conto, altrimenti si fa pura retorica come alla Biennale, dove tra tanta arte dell'abitare ci si dimentica che nei paesi del Terzo Mondo hanno tanta popolazione senza dimora che dorme per strada. Addirittura l'India ha un ministero apposito, benché sia un paese grande come un continente e una tra le potenze militari più forti al mondo.
Purtroppo l'emergenza casa accomuna un po' tutti gli stati del pianeta ricco e povero, e, seguendo l'indirizzo architettonico dal punto di vista di come lo individua la curatrice della Biennale Lesley Lokko, il mondo dovrebbe diventare un immenso accampamento. Certamente un nuovo tipo di laboratorio...
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