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23/12/24 ore

Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale al Museo di Capodimonte



di Adriana Dragoni

 

Organizzata dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e dal Museo Nacional Prado di Madrid, curata dai professori Riccardo Naldi e Andrea Zezza e allestita dall'architetto spagnolo Francisco Bocanegra, la mostra Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale  è in questi giorni, a Napoli, fino al 25 giugno 2023.

 

Scritto così, il titolo della mostra sembrerebbe dire, a una lettura frettolosa, che gli Spagnoli, venendo a Napoli, vi abbiano portato il Rinascimento e, non tenendo conto della maiuscola, che darebbe un significato storicamente preciso al termine, potrebbe addirittura significare una rinascita generale della cultura meridionale ad opera degli Spagnoli che, all'inizio del Cinquecento, avevano conquistato il regno di Napoli. Sarebbe un grave errore.

 

La città allora era la capitale del Regno aragonese. Aveva castelli, ville e palazzi magnifici (Beccadelli, Marigliano, Orsini, Sanseverino ...), una fiorente attività marinara e, bellissima, si distendeva sul mare, come riporta la famosa Tavola Strozzi, il dipinto su tavola attribuito agli anni Settanta del Quattrocento.

 

Era una città molto attiva, anche divertente e festaiola, amava la musica e i balli nelle case e nelle piazze, già durante il Regno angioino, quando contava  sessantamila abitanti, come racconta Giovanni Boccaccio (1313/1375) nel Decamerone. Durante il successivo Regno aragonese, continuerà a raccontare storie “napoletane”, e sono spesso piccanti, il Novellino del sorrentino Masuccio Salernitano (1410/1475), mentre fiorivano le arti e gli studi umanistici del Panormita, il palermitano Antonio Beccadelli (1394/ 1471), fondatore dellaprima accademia italiana, l'Accademia Pontaniana, alla cui guida ci fu Giovanni Pontano e poi il poeta Jacopo Sannazaro (1457/1530), ritornato a Napoli, dopo essere stato in esilio insieme a Federico, l'ultimo re aragonese (1451/1504), alla venuta degli Spagnoli.

 

Il fatto è che l'undici novembre del 1500, tra il re di Francia Luigi XII e il re di Spagna Ferdinando il Cattolico, c'era stato un patto segreto, con il quale i due si erano spartiti il regno di Napoli. Quando il patto divenne pubblico, ebbe anche il beneplacito del papa spagnolo Alessandro VI Borgia, che scomunicò l'ignaro re Federico, con il pretesto che aveva avuto contatti con i Mori.

 


 

Lo storico francese Jules Michelet (1798/1874) definì questo accordo “la più grande perfidia del secolo”. Durante la divisione del Regno nacque un dissidio, che generò una guerra tra Francia e Spagna. Il motivo sembra sia stato economico: la mancata definizione della dogana delle pecore, che,  durante la transumanza, forniva un reddito molto alto. Dal che si evince che,  pure nel passato, avevano la meglio i motivi economici e gli accordi sottobanco.

 

Il Cinquecento non è solo il secolo del Rinascimento ma anche il tempo del rivolgimento epocale che aveva prodotto la scoperta dell'America, realizzata, con l'aiuto della reina di Spagna Isabella di Castiglia, da Cristoforo Colombo, il capitano genovese, che però non seppe mai di aver scoperto un nuovo continente. Con la scoperta dell'America, ci fu l'accaparramento delle ricchezze delle terre colonizzate, in primis da parte della Spagna, in seguito del Portogallo, Francia e Inghilterra.

 

Nella mostra Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale, la ricchezza degli spagnoli  è testimoniata anche dalla quantità di opere della tradizione italiana che gli vengono commissionate. Forte è il loro desiderio di imitarla. Nella penisola iberica, invasa, nel lontano ottavo secolo, dai musulmani di Tariq ibn Ziyad, (che darà il nome allo stretto di Gibilterra, Gebel el Tarik = il monte di Tarik), c'era stata, per otto secoli, l'occupazione musulmana.

 

Un periodo di storia che si era concluso, dopo una lenta e faticosa riconquista, iniziata con la battaglia di Las Navas de Tolosa del 1212, con la cacciata dei Mori da Granada nel 1492. L'occupazione islamica aveva imposto alla Spagna il suo dominio, la sua civiltà e la sua magnifica arte. Un'arte ricca di creatività, che molto innovava soprattutto nell'architettura, nel mosaico e nella pittura ma che generalmente era un'arte aniconica, senza immagini umane, perché si pensava  che, altrimenti, Allàh avrebbe potuto offendersi.

 

Perciò sembrò giusto agli artisti spagnoli riferirsi all'arte europea.  

 


 

Venne esaltata soprattutto la splendida arte del Cinquescento italiano con i suoi protagonisti, Leonardo (1454/1519), Raffaello (1483/1520), Michelangelo (1475/1564). Nella mostra “Gli Spagnoli a Napoli”, appunto in questi giorni al museo di Capodimonte, c'è una Madonna con bambino di Raffaello Sanzio, che ora è ritornata a Napoli dopo quattrocento anni.  L'opera di Raffaello s'intitola “La Madonna del pesce”, perché vi compare un pesce, che qui è un simbolo sacro, il suo nome, infatti, in greco, è Iktùs, acronimo di “Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore” (=Iesoùs Cristòs Theoù Yiòs Sotèr).

 

Nel dipinto c'è la storia, raccontata da San Girolamo, di un ragazzo, Tobiolo, che, guidato dall'angelo Raffaele, va dalla Madonna, offrendole un pesce miracoloso, e la prega di guarire il padre Tobia dalla cecità. L'argomento, che ha chiaramente un significato simbolico, è comune nei dipinti del Rinascimento, (si trova anche in quelli di Andrea del Verrocchio, di Piero del Pollaiolo e di Tiziano Vecellio), quando si facevano viaggiare i figli, da ragazzi, da una città all'altra perché si impratichissero negli affari, mentre li si raccomandava alla Madonna.

 

Accanto a quest'opera, vi sono in mostra dipinti  della tradizione italiana che si rifanno allo stile di Raffaello, come quelli di Andrea da SalernoGiovanni Criscuolo e vi sono opere magnifiche di scultori come Giovanni da Nola e Girolamo Santacroce

 


 

Per comprendere al meglio l'arte spagnola, è utile ricordare che in quegli anni, in Spagna, erano rimasti ancora molti musulmani ed ebrei. Si camuffavano da cristiani per non incorrere nella condanna del Tribunale dell'Inquisizione Spagnola, che mandava a morte gli infedeli. Cosicché c'era, in quei tempi, l'attenzione massima per l'ortodossia religiosa, che comportava un'attenzione scrupolosa anche nell'arte figurativa, che esprimeva sempre una grande religiosità.

 

Tra i pittori spagnoli, nella mostra napoletana, c'è Pedro Fernandez, le cui opere denunciano una precoce esperienza delle immagini prospettiche della pittura italiana e c'è la delicata sensibilità di Pedro Machuga, che possiede una sua equilibrata capacità compositiva e ha partecipato, insieme e Bartolomé Ordognez, a lavori importanti come quelli per il Palazzo di Carlo V a Granada.

 

Mentre Alonso Berruguete denuncia chiaramente la sua  ammirazione per Michelangelo nelle immagini di donne forti, c'è, all'opposto, l'accentuazione del patetismo delle opere di Diego de Siloe, non privo di una sua forza persuasiva.

 

Questi autori ebbero modo di cogliere, proprio nella Napoli che in quegli anni diventava spagnola, le loro prime grandi affermazioni professionali,  prima di tornare in patria e dare avvio alla grande stagione del Rinascimento iberico. 

 

 

 


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