Massimo Catalano è uno tra i più grandi pensatori del XX secolo. Formatosi negli anni ‘60 strombazzando con i Flippers (The Flippers per l’esattezza), un complesso musicale di discreto successo, a carriera quasi conclusa ebbe una parte fissa nel programma Quelli della notte di Renzo Arbore nel ruolo dell’intellettuale che, interpellato, ne diceva una peggio dell’altra… Faceva ridere molto per le sue sfacciate ovvietà, talmente disarmanti e stupide che non potevi fare altro che ridere. Si esprimeva con piglio dotto in frasi del tipo “se uno lavora si stanca …” oppure “è meglio essere allegri che tristi …” ecc. ecc. Un “pensiero” lapalissiano, che in chiave seria è profuso in così gran quantità nella comunicazione corrente che non ci facciamo più caso.
Purtroppo il “Catalano” pensiero è sempre più in voga al punto che ormai sovrasta la mentalità generale. La tecnica consiste nell’occupare spazio e visibilità enunciando ovvi quanto inutili ed ambigui concetti, basati su simboli spesso astratti e pertanto di poca comprensibilità.
Vista la Biennale d’architettura di Venezia dal titolo How Will We Live Together? Almeno sapete che a Venezia c’è la più importante mostra d’architettura al mondo? Non voglio darvi dei disinformati, ma credo che ne sappiate poco o niente di quella in corso.
Se avrete letto l’intervento di presentazione che è poi anche il contenuto della Biennale di Venezia di Hashim Sarkis, noterete che è un concentrato del Catalano pensiero, un elenco di ovvietà da cui, per l’appunto, non si può prescindere ma che non possono costituire alcun interesse. In pratica Hashim Sarkis ci dice che è meglio vivere in una casa grande, confortevole e ricca che non in una piccola, malsana e povera.
Considerato il fiacco messaggio che propone il curatore Hashim Sarkis con il suo intervento “… del vivere generosamente insieme …” c’era da aspettarsi che la mostra venisse dai più ignorata; infatti il contenuto è così lapalissiano che non merita considerazioni. Diciamocelo pure: ma chi è che vuole vivere male? Penso nessuno. Tutti vogliono vivere bene in case confortevoli, meglio se belle e spaziose, altrimenti non si capirebbe perché esistono tante banche che campano sui mutui della gente che fa enormi sacrifici per un’ abitazione dignitosa. Forse la chiave del concetto è Together: in tal caso alla banalità si aggiunge l’ipocrisia tipica del mondo radical chic, perché come fa un’abitazione di gran lusso, come vedremo poi in dettaglio, a rappresentare una soluzione per tutti?
Stronger together era il motto della campagna elettorale con cui Hillary Clinton si misurò, perdendo, con Donald Trump. Forti insieme è il claim della campagna di Chiara Ferragni per sostenere le donne imprenditrici con la sponsorizzazione della ditta Pantene. Chiara Ferragni è la Hillary Clinton del suo campo, anzi in politica farebbe una miglior figura a livello di immagine. Insieme, tutti insieme, tutti fratelli, o meglio Fratelli tutti, sono gli slogan preferiti da papa Francesco, anzi Francesco, il Papa che piace a destra e a sinistra, anzi più a sinistra che a destra, quello che piace a chi crede e a chi non crede, anzi più a chi non crede che a chi crede…
Molto sensibile ai flussi emotivi, ha dato alla sua missione una forte impronta ecologista e ambientalista, tendenzialmente interconfessionale: ricordo il convegno in Vaticano del Maggio scorso, sul tema della salute in rapporto con il corpo, l’anima e la mente, cui hanno partecipato Cindy Crawford, Chelsea Clinton, Antony Fauci, i dirigenti di Pfizer e Moderna, l’attivista New Age Deepak Chopra e il chitarrista degli Aerosmith Joe Perry, forse il più bravo della compagnia.
Poteva Sarkis rinunciare a dirci la sua su questo argomento epocale dell’All Together Now?
Definita da molti critici “la biennale delle domande”, come ad ammettere che non dà risposte ai quesiti che pone, la sua è una mostra che non ha nessuna capacità di asserire qualcosa al di là delle parole ecumeniche che vogliono dire tanto come pure niente. Eppure ha avuto tra i visitatori Mattarella insieme a Franceschini. Io penso che non sia mai avvenuto un così straordinario evento: che il presidente della repubblica si sia recato a una mostra d’architettura, con una visita fatta in un giorno che nemmeno era l’inaugurazione: illustri invitati per una Biennale dell’ovvio che non intacca e non aggiunge alcunché al corso dell’architettura.
Qui di seguito si può vedere quello che è esposto nella mostra della Biennale d’Architettura.
Vi potete accorgere da soli che queste immagini, evidentemente ritenute dagli organizzatori tra le più significative della biennale, non lasciano alcuna valida impressione e prevedibilmente saranno da tutti dimenticate entro breve tempo.
La “villa Postumana come ecosistema” è la proposta di maggior successo presentata alla Biennale d’architettura di Venezia
che ha avuto a supporto grandi discorsi molto aleatori ma che solo in questo caso, forse aiutata dai renderig visivamente belli, ha suscitato un dibattito tra i più seguiti. Della villa Postumana di Mario Coppola, Leonardo Caffo, Arup Italia, c’è tanto di manifesto dell’Ecosistema studio per chi vuole approfondire l’argomento. In poche parole il sistema progettuale si rifà la filosofia definita “Post umana” in voga in alcuni ristretti ambienti culturali che si rifanno al The Posthuman Manifesto, tratto da un libro di Robert Pepperell, The Posthuman Condition: Consciousness Beyond the Brain. Nell’ambito filosofico è un’ enclave di pensiero molto pretenzioso che sfocia in un atteggiamento arrogante che divide l’umanità in chi è in possesso della modernità, cioè i postumanesiani (termine da me coniato) e chi non lo è, cioè i barbari ignoranti che non sanno usare e controllare la tecnologia.
Tutto ciò per mandare un avvertimento mafioso e minaccioso mascherato da edulcorata esortazione del tipo: “affidatevi a noi che abbiamo capito tutto della tecnologia se non volete cadere nella catastrofe”. Insomma a forza di parlare di futuro si sono fatti il loro futuro professionale alla faccia di chi se lo crea sgobbando con lavori normali. Venendo al dunque, basta leggere il punto sette del loro manifesto “Sosteniamo il benessere di tutti gli esseri senzienti, compreso gli esseri umani (grazie dico io …), gli animali e non umani, e qualunque altra mente artificiale, forme di vita modificate, o altre intelligenze al quale il progresso tecnologico e scientifico possa dare luogo”.
Una sorta di ecumenismo che si aggiunge ai tanti ecumenismi che si sentono in giro: francamente non se ne avvertiva la mancanza ma non mi meraviglierei se il tema venisse fatto oggetto di un convegno in Vaticano.
Con queste premesse gli architetti in questione hanno realizzato un appartamento che si ricompone in un parallelepipedo, come tutti gli schemi comuni degli appartamenti, sostenuto da un “piede” a forma di rami d’albero con coda a gobba nella parte posteriore a copertura che, come si vede nel rendering, ha un aspetto abbastanza marziano.
Piazzato in uno scorcio di natura primordiale da vero scempio ambientale, è la tipica rappresentazione della villetta di un magnate della finanza, una costruzione che strizza l’occhio a un Paperon de’ Paperoni che può permettersi di comprare un terreno simile e di commissionare una piccola reggia del genere in un luogo così sperduto dalla roccia lunare senza piante e alberi che richieda l’apporto di cospicui mezzi logistici costosissimi da strade che nelle immagini non si vedono. Davvero un bizzarro eremo per qualche eletto, forse per un filantropo ricchissimo come Bill Gates o giù di li, che, schifato dal popolino, si ritiri indisturbato nella sua privacy.
Che ci volesse una mostra internazionale d’architettura all’insegna “del vivere generosamente insieme” per andare a parare in un’ esclusiva residenza fuori dagli occhi indiscreti della plebe nel bel mezzo della natura più selvaggia, come sogliono fare i supermiliardari, senza essere ormai nemmeno originali, non ci lusinga più di tanto anche perché certa gente per le sue possibilità economiche e di potere se ne frega altamente di seguire una Biennale d’Architettura (fosse pure meglio riuscita di questa).
Se la villa Postumana è l’opera architettonica di maggior interesse visibile nel padiglione Italia, le altre, da come si vedono nelle foto qui sopra, sono ancora meno interessanti e anche veramente strane. Ditemi voi che significato hanno tutti quei pali di legno a recinto o a sostegno di una superficie approssimativamente identificabile come copertura di strutture che all’interno non hanno niente; non ditemi che sono case.
E questa sarebbe la mostra di architettura più celebrata in Italia? Ci vivremmo insieme generosamente in tali strutture? Io spero che non ci vivranno nemmeno gli aborigeni dell’Australia, che sono annoverati tra le tribù più primitive. Nemmeno lo auguro al più sfortunato dei clochard e ancor meno ai visitatori della mostra.
Non vivendo a Venezia, non so se l’affluenza alla mostra sia rilevante, ma di sicuro non soddisferà il pubblico, anche se la critica questo non lo dice. Qui ci sarebbe da spendere qualche parola sulle tante riviste culturali che non sono altro che accrediti per far parte di una clientela culturale e politica, dove si producono articoli talmente compiacenti che rendono indistinguibili le mostre veramente interessanti da quelle finte, ma mi riservo di trattare questo tema una prossima volta.
Quello che ulteriormente infastidisce è che a sostegno della Biennale ci siano soldi pubblici che vederli spesi in questa maniera dispiace parecchio.
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