Sono 80 opere, tra sculture e pitture, distribuite su due piani, compreso il gruppo statuario Hydra and Kali, collocato nel Giardino Segreto dell’Uccelliera, a costituire uno scenario fantastico da kolossal hollywoodiano. Idealmente la mostra continua la narrazione di Treasures from the Wreck of the Unbelievable, che allude al ritrovamento di un vascello affondato nell’Oceano dove vengono ripescate delle statue antiche: mostra parimenti sontuosa avvenuta a Venezia nel 2017.
Non è una novità in senso assoluto, perché già tanti artisti di arte contemporanea hanno rimaneggiato l’antico nelle loro proposte: le sculture greche di Igor Mitoraj, la Venere tra gli stracci di Pistoletto, le sculture classiche in dialogo di Veroli, la Pietà di Michelangelo nei video performance di Bill Viola ecc. ecc.
Così pure per Damien Hirst, l’artista che ci ha sbalordito per i nuovi linguaggi che tanto hanno avuto successo per l’innovazione artistica, la vecchia quanto rassicurante arte classica è diventata uno spunto per la sua produzione.
Dopo il successo della doppia mostra a Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia nel 2017, con questa mostra ha fatto il salto della quaglia riciclando le stesse opere nella Galleria Borghese, in questo caso emblema dell’horror vacui.
Qui a Roma, a mio avviso, il contenuto culturale si complica: non ci sono spazi vuoti da occupare come negli ambienti veneziani, ma le opere di Hirst vanno a collocarsi proprio nel museo che più di ogni altro ha una quantità e una densità di opere di arte classica senza eguali al mondo.
Mostra che potrebbe essere interpretata come un connubio tra l’antico e il nuovo, seppure quest’ultimo ha una patina piena di depositi e incrostazioni marine che ne dimostrano l’antichità e la permanenza sotto il mare. Una mostra siffatta diventa una paradossale messa in scena tra il vero e il finto antico, gli originali e le croste dei falsari che tentano di ingannare gli antiquari.
Infatti, ad esempio, a fianco a un’opera la didascalia scritta da Damien Hirst dice : “…si pensa che questa coppia idealizzata rappresenti i figli incarcerati del famoso nemico di Roma, Mitridate VI del Ponto (135-63 avanti Cristo)” ma sono opere del XXI secolo spacciate per antiche.
Secondo me la mostra poteva essere fatta mettendo l’accento su questo contrasto e acuendo le divergenze, sino a creare un incanto perverso con il tradimento in agguato, con il finto antico che dava costantemente una sensazione di disorientamento-straniamento, traumatizzando lo spettatore: una spettacolarità erudita che sarebbe potuta essere un capolavoro.
Così proposta, Archaeology Now avrebbe dato seguito a quel Damien Hirst dell’ YBA, che era uno di quei giovani artisti britannici che con le loro estreme provocazioni hanno conquistato il mondo.
Un iperbolico Damien Hirst che sfacciatamente sfora nel fiabesco a farci immaginare una favola dove la collezione di Scipione Borghese viene trasformata nel bottino di Jack Sparrow, e la Galleria come il covo dei pirati caraibici dove veniva nascosto il prezioso tesoro.
Probabilmente un’idea del genere stava nei pensieri di Damien Hirst, ma non l’ha palesata perché si sarebbe bruciato il consenso del “salotto buono” della finanza globale, quello che gli dà tantissimi soldi, le quotazioni che hanno sfondato le valutazioni di alto livello. Quale credenziale migliore poteva essere quella di accedere al Museo Borghese dopo il prestigioso Palazzo Grassi? E quale riconoscimento migliore ci poteva essere di esporre con i più rinomati capolavori di sempre?
Con Raffaello, Tiziano, Caravaggio, Bernini, Canova a fargli gloriosa cornice in definitiva Damien Hirst diventa come loro, un gran maestro della storia dell’arte.
Quale scegliere tra questi due ruoli, quello del provocatore o dell’artista consacrato, lo hanno detto gli organizzatori e i curatori della mostra, compreso Damien Hirst ormai assunto nell’Olimpo dell’arte mondiale. A suggello di questa intenzione ha realizzato opere in preziosissimi materiali, come malachite, oro, argento, coralli, proprio per dargli il maggiore valore aggiunto.
Un messaggio di ricchezza per Prada, sponsor della mostra, ma anche per tutti i suoi collezionisti: Larry Gagosian, François Pinault, gli Emiri del Qatar, la Deutsche Bank, la fondazione Cartier che gli farà la prossima mostra a Parigi, e i tanti ricchissimi paperoni sparsi per il mondo. Che dire, le sue opere sono tra le più pagate del mercato, il suo nome è il suono del martello vincente di ogni battitura d’asta nelle case milionarie più prestigiose al mondo; conteso dai mecenati più ricchi del pianeta, Hirst ha un nome che vale più di un ministro o di un presidente.
“La bellissima mostra di Damien Hirst che apre alla Galleria Borghese è un segno di ripartenza“, ha commentato alla vernice il ministro della Cultura Dario Franceschini. “La cultura è ripartita, è tornata con iniziative straordinarie. L’originalità di questa mostra, è una prova di quello che succederà nei prossimi mesi. Passata l’epidemia ci sarà un grande ritorno delle iniziative culturali e della capacità dei musei di innovare. I turisti stanno tornando, quelli italiani e anche quelli stranieri e il governo è al lavoro per modificare le norme e favorire il ritorno del turismo internazionale”. E ha concluso, “c’è una grande voglia di turismo, di cultura, di bellezza. Sarà un nuovo rinascimento per l’Italia ! “.
Quando si gioca a questi livelli anche i giudizi più maligni scompaiono di fronte alla mole dell’artista e non possiamo fare altro che a questo inchinarci.
Archeology Now di Damien Hirst
Galleria Borghese di Roma
Curata da Mario Codognato, Anna Coliva e Geraldine Leardi autori del catalogo
8 giugno – 7 novembre 2021
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