In quella che è una tra le più grandi e belle gallerie che si trovano in via Margutta, la mitica strada degli artisti romani, abbiamo la mostra di Achille Perilli uno tra gli ultimi ”leoni” della neoavanguardia, che, a differenza di molti suoi illustrissimi colleghi ancora vive, a novantadue anni suonati lavora alla faccia di chi vuole questo periodo tramontato.
Parlare di Achille Perilli (1927) è come rispolverare i libri d’arte dal dopoguerra in poi, se non di prima, insomma un personaggio immenso della cultura romana e internazionale; nel 1947 è tra i fondatori di Forma1; sempre al centro di grandi movimenti culturali, diventa famosissimo per le sue frequentazioni che sono state le più prestigiose che si sono potute avere.
Nella galleria Marchetti con la cura di Aldo Marchetti e il testo critico di Nadia Perilli abbiamo alcune delle sue più importanti opere prodotte dal 1958 al 2008, come recita il titolo.
Possiamo dire che è stata fatta una sintesi della sua migliore produzione che va da quella su carta alle tele e a una scultura dove emerge prepotentemente la sua tendenza aniconica.
Tutte a carattere astratto, proprio a tenere vivo il collegamento con quello che era il movimento d’Avanguardia apertamente contrario all’accademico figurativo, sono le opere per le quali Perilli si è distinto. Opere che spaziano in varie direzioni, come Solo segno, del 1958, dove l’azione pittorica si traduce in pennellate e scolature di colore, o come quelle che hanno offerto una produzione di qualità rilevante nella ricerca, dove segni e campiture di vivaci colori in ambienti limitati come partiture si alternano a contrasto: Green lantern, del 1962, La voce isolata, del 1966, La dilatazione dell’anima, del 1963. Questi ultimi sono movimenti di forme che rimandano all’andamento complessivo dell’opera e, a dispetto della delicatezza cromatica e della prevalenza di un bianco nebuloso di fondo, sorprendentemente sono quadri potenti di grande effetto scenico.
Ma è l’azione decisa come se fosse brutale, quella di scalfire la superficie del supporto, quel gesto che pare voglia emulare un moderno graffito, una composizione che nella sua assoluta semplicità rivela una grande forza poetica: L’unicorno come paradigma, del 1959, Senza titolo, tempera su carta del 1961.
Come un’ossessione ritorna il segno nelle sue varie declinazioni, ma a comporre forme sospese nel vuoto, appezzamenti di colore che hanno prodotto ricerche di tipo geometriche caratteristiche di gran parte della sua carriera: Replica uno, del 1968, Obliques, del 1969, Miserable et glorieuse, del 1986 e Il casto angelo, del 2002. In quest’ultima opera nella essenziale forma esemplificata dell’angelo abbiamo gli ultimi residui del cubismo nell’astratto estremo.
Aggregazioni geometriche in diverse posizioni e forme dai colori contrastanti che si liberano in uno spazio indecifrabilesono ancora: Andare piano, del 2005, Rosa mattutina, del 2005, Al centro del cuore, del 2005, Il boreale astratto, del 2006, Il belvedere, del 2007, Papitum, del 2007, Ovaloide, del 2008, Ovaloide bis, del 2008 e per concludere Il Laocoontedel 2002, tecnica mista su un ceppo di olmo, massiccia scultura in legno.
Una capacità artistica nella pittura del grande maestro che ci ha sempre strabiliato, proveniente da una scuola dovuta al confronto con altrettanto grandi artisti, in un periodo d’oro dell’arte, quello del dopoguerra, che purtroppo sicuramente non avremo più. Una generazione che era di artisti veramente seri in tutti i sensi, per i severi studi sostenuti e per la lunga gavetta che affrontavano; artisti molto solidi nella formazione culturale e professionale tutti proiettati in uno scontro con l’andamento storico dell’arte molto arduo -non per nulla si parla per loro di “Avanguardie”- pagando di persona rischi che adesso sembrano impensabili.
Erano opere che davano ansia di un futuro migliore da conquistare e che adesso dovrebbero essere guardate con quel tipo di partecipazione, cosa molto difficile ora che non sono più novità ma consuetudine: dico tutto questo per avvalorare l’indirizzo culturale che gallerie come la Marchetti operano con grande impegno.
Per avere una conoscenza più approfondita di Achille Perilli e delle sue opere si può consultare l’ottimo testo critico di Nadia Perilli nel catalogo in distribuzione presso la galleria.
Achille Perilli – Works. Opere dal 1958 al 2008
Curata da Aldo Marchetti
Testo critico di Nadia Perilli
Dal 21 novembre al 7 gennaio
Galleria d’arte Marchetti
Via Margutta 8, Roma
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