Con un corrimano nero, costituito da quel nastro che si sospende a dei paletti neri piazzati a regolare distanza, che troviamo nei luoghi dove c’è molta fila, gli stanchions, si trasforma l’ampia sala della galleria T293 degli ex napoletani Paola Guadagnino e Marco Altavilla in un labirintico percorso simile a quello del check-in degli aeroporti.
Sarà il colore nero del corrimano che non porta da nessuna parte, che si snoda misteriosamente nella nuda sala bianca dalle pareti mute senza alcunché esposto a darti la sensazione di ritrovarti da visitatore in un ambiente inquietante, unfriendly. Un’installazione che prende tutto lo spazio dell’ampia galleria T283 e che impatta negativamente è esattamente ciò che vuole l’autrice dell’opera che, con questo simbolo che produce la fila, rappresenta il disagio delle frontiere e del viaggio in genere.
Il nero dell’installazione conferisce anche un’atmosfera mortifera come quella dell’espatrio che nel mondo conosciamo e i richiami nella brochure della mostra sono a conferma.
Dai viaggi visionari di Henry Miller di inizio secolo scorso, che hanno influenzato e incentivato generazioni di viaggiatori sino a pochi anni fa, ormai non c’è traccia. Siamo ormai catapultati nel medioevo quando il viaggio rappresentava un pericolo.
Le gesta leggendarie di Marco Polo e di Cristoforo Colombo vinsero la paura dei draghi e dei mostri alle nostre porte e risvegliarono nell’uomo quello che più di naturale aveva, il gusto dell’esplorazione, della conoscenza di mondi nuovi, ma adesso non è più così: si prende l’aereo come se si puntasse la propria vita alla roulette, in un gioco macabro al quale ormai ci siamo talmente assuefatti che quando qualcuno muore non è strano. Eppure mi ricordo la vecchia generazione impaurita della sicurezza tecnica degli aerei, mentre oggi prevale la paura dell’attentato.
L’esodo poi che dai paesi del terzo mondo porta da noi è un viaggio che sa di morte, in cui si fugge dalle guerre e si muore in un attentato fatto da rifugiati: a questo punto mi domando dove stia l’esodo, se sia possibile una via d’uscita.
Ci troviamo in un labirinto di spiegazioni e giustificazioni, difese e accuse che si imbrogliano sempre più, e perciò vedo in quel nastro nero che scorre lungo tutta la galleria una lunga sottolineatura a tutto questa querelle umanitaria simile ad una matassa.
Dove è la ragione se non si sa dove è l’inizio o la fine del ragionamento, proprio come il non percorso dell’installazione che ci fa cuccioli (puppies) innocenti persi in un mondo in cui finiremo da vittime.
Misteri che ci avvolgono come nebbie a causa delle quali non scorgiamo più l’orizzonte, quello a cui invece ambivano i vecchi eroici viaggiatori, avventurieri di un mondo che non c’è più.
“Morte, vecchio capitano, è l’ora! Su l’ancora! Che noia questa terra!” – così Baudelaire in una poesia profetica intitolata “Il viaggio”, che conclude “I fiori del male”. Appunto.
Puppies Puppies
Barriers (stanchions)
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T293
Via dei Tribunali 293 Roma
28 aprile-27 maggio 2017
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