Per la seconda volta Giorgio Griffa espone alla galleria Lorcan O’Neill in una retrospettiva le sue opere, che hanno fatto la storia dell’arte contemporanea dagli anni ‘60 in poi. Annoverato tra gli artisti che hanno iniziato l’arte povera, Griffa ha sempre mantenuto una costante originalità, tanto da essere difficilmente inquadrabile in correnti che dagli anni ’60 lo hanno visto al massimo attiguo, questo a confermare la sua incessante continua ricerca.
L’avvocato Giorgio Griffa, nonostante la sua impegnativa professione, è sempre stato nel movimento dei più importanti artisti italiani sin dagli esordi; infatti lo troviamo nel ’73 a “Contemporanea” insieme a Joseph Beuys, CyTwombly, Jasper Johns, Mario Merz e a tanti altri. Ricordiamo che “Contemporanea” fu quella rassegna spartiacque che portò all’abbandono del figurativo nella concezione dell’arte contemporanea. Fu curata da Bonito Oliva (anche se, come tutti sappiamola reintrodusse una decina di anni dopo con la “Transavanguardia”).
Quello che più mi intriga di Giorgio Griffa è la sua scelta radicale (dalle colonne di questo giornale sembra un gioco di parole) nel fatto che dipinge con colori ad acqua su tessuti grezzi tipo iuta lino o canapa, senza intelaiatura. In pratica ti trovi stoffe colorate appese al muro con dei piccoli chiodini come degli arazzi, poveri o minimalisti come le correnti a cui egli fa riferimento. “Quadri” che quando non sono esposti sono ripiegati e impilati, perché anche il segno della piega svolge una funzione di grigliato esplicativa del contenuto, in quanto facente parte della composizione artistica. Infatti per Giorgio Griffa ogni elemento che compone l’opera è soggetto parlante che, se presente, deve avere una sua giustificazione.
Quindi adotta la massima semplicità e su quella tela grezza pone pochi segni, pochi appezzamenti di pochi colori. Una radicalità ossessiva e arrogante quanto potente in colori chiari, solari, puliti, posti in meditate campiture, piccole, insomma un risultato “poco dipinto”. Pulite e igieniche come un torinese può fare, le tele; in questo, scusate l’approfondimento, l’origine conta sino a diventare un inequivocabile segno distintivo.
Ma la sua ricerca non si ferma solo a questo, va oltre, sino a sondare orizzonti imperscrutabili come quello della sezione aurea. Quella sezione aurea o canone aureo esistente sin dai tempi di Orfeo, già prima che Euclide formalizzasse il calcolo matematico, permette all’artista di conoscere l'inconoscibile, dire l'indicibile..
Scrive Griffa «c'è il tempo unito allo spazio perché ogni segno viene prima o dopo un altro, prima o dopo sia come luogo, sia come tempo».
Un linguaggio che ha una protezione verso l’astratto e il concettuale estremo e radicale sino all’essenza e all’annullamento del supporto stesso, sul quale detta essenza viene veicolata senza compromessi.
Tra i grandi maestri dell’arte ma anche del pensiero inteso come realizzazione di opere che abbiamo avuto in questo recente periodo e che abbiamo la fortuna ancora di incontrare pochi colpiscono come Giorgio Griffa, che alla sua non tenera età (è del 1932) è straordinariamente giovanile e vitale, e tutt’altro che rassegnato ad interrompere la sua ricerca artistica. Scrivo questo forse ovvio pensiero per ricordare il di poco più giovane Jannis Kounellis (Pireo, 23 marzo 1936), grande maestro che ha condiviso lo stesso periodo artistico qui in Italia tra glorie e fortune varie che ci ha lasciato da pochi giorni il 16 febbraio proprio qui a Roma.
Giorgio Griffa
Dal 22 febbraio a 30 aprile 2017
alla galleria Lorcan O’Neill, Roma
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