L’architetto inglese, Peter Cook (Southend, 1936), ha dato con il suo pensiero il più possente propellente che il dopoguerra abbia mai avuto per uscire dal tunnel nel quale il mondo si era cacciato con il più disastroso dei conflitti mai perpetrato dal genere umano.
Una sciagura che con la ricostruzione ha paradossalmente causato una euforica percezione del futuro migliore al punto da far stimolare la fantasia di numerosi scrittori che si trovarono con la fantascienza a inventare un mondo nuovo che sarà il tema predominante di quegli anni ’50 e che a tutt’oggi ne percepiamo l’onda lunga.
Case robotiche a forma di baccello che galleggiano mobili sul suolo come UFO sul pianeta terra, agglomerati urbani spontanei creati dall’aggregarsi di edifici mobili … sono alcune delle proposte progettuali di Peter Cook. Esaltanti utopie se si pensa che solo oggi con la domotica che non è alla portata di tutti, stiamo automatizzando l’apertura delle finestre e l’accensione degli elettrodomestici con connessione internet. Edifici e città pazzesche che fanno capire quanto avanti e visionaria era quella concezione architettonica. Non era solo in questo modo di pensare, insieme ad altri architetti Warren Chalk, Ron Herron, Mike Webb e David Greene creò uno tra più famosi gruppi di correnti architettoniche, Archigram ( nome che coniugava architettura e programma ) la prima brochure è del 1961 ma il fermento era già presente prima.
Seppure estremamente radicalizzata nelle sua fantasiose proposizioni e quindi difficile da essere assimilata ebbe un grande prestigio negli ambienti d’avanguardia, dette lo stimolo creativo a tanti architetti molti dei quali sono oggi le archistar del momento.
Senza Archigram non ci sarebbero state le avveniristiche architetture di Norman Foster, Steven Holl o FutureSystems, nonché Renzo Piano e Richard Rogers con il Centre Pompidou del 1971 che ha distanza di decenni è una tra le più fantascientifiche costruzioni che abbiamo, come pure le aliene architetture di Zaha Hadid e le bizzarre forme create da Rem Koolhaas.
Così dagli anni sessanta in poi il gruppo Archigram sarà il riferimento internazionale di tutta una rivoluzione progettuale anche se gli edifici realizzati da Peter Cook sono pochi e il Kunsthaus Graz (casa dell’arte, museo simbolo della città austriaca, realizzata nel 2003 con Colin Fournier, definita architettura Blob) rimane la sua più importante opera. Disegni e progetti realizzati solo sulla carta che resteranno nel tempo i segni memorabili per tutta una generazione di architetti d’avanguardia che li porteranno nel cuore. Peter Cook si caratterizza per un’intensa capacità di stare sempre al centro dei dibattiti insieme ad una feconda attività universitaria che resterà la sua principale attività.
Forse il suo successo era dovuto alle sue memorabili ed incredibili prese di posizione che creavano lo sconquasso nell’ambito disciplinare del costruire. Su un suo progetto Plug-In City, Cook disse: "Finalmente gli edifici potranno diventare animali, con parti gonfiabili e tubi idraulici e un piccolo ed economico motore elettrico. Potranno crescere e rimpicciolirsi, diventare diversi, diventare migliori".
Su un altro suo progetto Instant City trasportata da una ventina di autocarri... disse che "Il progetto partiva dall'idea di portare ovunque il dinamismo di una metropoli, anche in un villaggio. I componenti sarebbero stati schermi audio visuali, proiettori televisivi, furgoni, gru e luci elettriche".Dopo queste dichiarazioni immaginarsicosa può essere la mostra non è difficile, una serie di disegni di improbabili strutture edificate sull’immaginazione dello spettatore attonito, folgorato dai colori estremamente vivaci che contribuiscono a dare ulteriore artificiosità al tutto.
Un’architettura che definirei dell’ottimismo dove molta fiducia era data alla tecnologia che negli anni ’60 furoreggiava come allettante promessa messianica che in Peter Cook non ha mai avuto esitazioni sino ai giorni nostri. Un mito, quello tecnologico, che adesso crea molte diffidenze se non acerrime opposizioni, per una mostra che celebra gli 80 anni dell’architetto più utopico del mondo che nonostante tutto ancora è “floating”, come dice il titolo, cioè galleggia. Una fortuna che stride con la realtà che abbiamo in quest’ultimo periodo fatta da tristezze e disperazione.
Certo è che dopo tanti sogni di un mondo nuovo e migliore, di tutto è possibile, di prendi e fai tutto quello che vuoi con le casse dello stato sempre disponibili, compreso il fenomeno di tanta sete di progresso siamo ad una situazione completamente diversa dove inesorabilmente ci troviamo con gli economisti a calcolare il numero dei NEET, "Not (engaged) in Education, Employment or Training", disoccupati che non cercano più lavoro e nemmeno si dedicano a corsi professionali, in dialetto romano anche se molto meno scientifico ma più chiaro e comprensibile li chiamiamo gli sfigati; un mondo a parte e opportunamente nascosto nel nostro mondo dove in Italia addirittura hanno allungato l’età dei soggetti in questione per il primato che abbiamo del triste fenomeno che i “giovani” si trovano a casa dei genitori in età matura.
Valutazioni statistiche o no ci siamo allontanati di molto dal sogno sociale culminato nel ’68 e questa bellissima e interessantissima mostra di architettura che sembra essere sospesa tra fantascienza e avveniristica utopia sa più di impolverata archeologia di reperti appositamente disseppelliti. (Ma non è colpa di Peter Cook!)
Floating Ideas
Peter Cook
Fino al 2 Ottobrer
Royal Academy of Arts.
Burlington House, Piccadilly, London UK.
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