Un particolare esempio di ready made è l’opera creata da Pio Monti nella sua galleria che ha come affaccio una tra le più affascinanti piazze di Roma, che ha il suo punto di forzanella fontana delle tartarughe di Taddeo Landini, realizzata su probabile progetto di Giacomo della Porta nel 1581 ma conclusa nel 1588.
Trattasi della cucina di Gino De Dominicis, un artista che personalmente non stimo come tutti i seguaci di Alfred Jarry, non perché tali artisti non siano bravi, ma perché sono talmente bravi che abusano della loro bravura per creare altro, privilegiando tutto quello che sta al di fuori dell’opera e del personaggio stesso che la crea.
Come tutti sanno, Gino De Dominicis deve l’esordio a Pio Monti, che forse rimane la persona che lo ha capito di più: questi non a caso della sua arte fiutò il valore commerciale (pare che abbia venduto un appartamento per comprare una sua opera) ma riuscì anche a capire la criptica personalità di Gino che, oltre ad essere uno strano personaggio, si divertiva pure a fare macabri scherzi che rimangono costitutivi dell’aura concettuale del suo genio.
Sarà stata l’uguale provenienza regionale, ma fra i due c’era sicuramente un’intesa tale da farmi sospettare che soprattutto nell’acume erano artisti a pari merito.
Infatti in questo caso è Pio Monti che, come ho accennato all’inizio, propone la cucina di Gino de Dominicis proprio in questi giorni in cui ci si mobilita per l’EXPO di Milano, basata sul tentativo di rilanciare le sorti nazionali con il cibo e tutto quello che vi è intorno. (Parola d’ordine l’ormai stucchevole termine:"eccellenza").
Furbescamente Pio, come Cattelan, si appropria dell’estetica del marchio dell’EXPO e lo fa diventare l’effige del suo nome e su questo crea un evento espositivo, ponendo la grande e bizzarra cucina cromata di giallo oro e fiancheggiata da due candelabri di Gino De Dominicis a troneggiare sulla parete più grande della galleria.
Peccato che al vernissage la partecipazione all’evento sia stata tiepida, forse l’afa e la minaccia costante di un temporale non ha invogliato i più, ma si sa che il pubblico romano va sul sicuro.
Questa mostra - che reputo intelligente e invito tutti a vedere - mi fa pensare ad un altro fenomeno molto esteso che non viene fatto da galleristi ma da artisti.
L’ultima Biennale di Venezia, ad esempio, aveva una mole di opere d’arte fatte dagli artisti su commissione, che offrivano spettacolarità di marmi esposti e materiali plastici ma che, come tutte le cose fatte da chi non è artista, hanno quella debolezza di fondo e quella rifinitura eccessiva che conferiscono freddezza.
Dico della Biennale, ma non è che quando ci sono mostre importanti tutto questo non si avverta, anzi, spesso ci si trova di fronte a dei bazar di cose più o meno interessanti che sempre meno hanno a che fare con l’artista. Kounellis ci ha abituato da tempo a questa défaillance, e ogni volta quella che lui chiama installazione per me è un allestimento.
Mi potete dare dell’ignorante dal punto di vista artistico ma per sfortuna vostra la derivazione latina delle terminologie della lingua italiana non dà scampo. Poi mi potete dire che da tempo Duchamp usava il ready made e che la Pop art ecc. ecc.
Un conto che si dichiara la provenienza e addiritturaci si polemizza "… basta mettere un orinatoio capovolto su un tavolo…", un altro conto è dire: sono l’autore di una cosa che non è mia. Questo fenomeno artistico immaginato in altri campi avrebbe del ridicolo: giornali che hanno il nome del direttore dove gli articoli figurano tutti suoi, ecc. ecc.
In passato, al tempo delle monarchie e dei dittatori, cioè quando non c’erano la democrazia e la possibilità di rivendicare i diritti, le botteghe con i migliori artisti erano quelle che prendevano il sopravvento sulle altre non solo perché era bravo l’artista che la rappresentava, perché erano bravi tutti.
La competizione creava nuovi bravi artisti e una discendenza, cose che sappiamo tutti.
Spesso si dice che l’attribuzione ad un artista di un’opera si vede dalla mano che ha. Adesso si può ancora dire "mano d’artista"?Agli illustri direttori di musei, oggigiorno, si danno persino cariche di presidenti, vi risulta tutto questo? Che garanzie di autenticità danno alle opere del museo? E tutti i funzionari del Ministero dei Beni Culturali ci pensano? A questo punto a che servono? Sono solo esperti di public relations? E tutti i libri e i professori e le conferenze e i media dove perorano sull’importanza dell’arte e degli artisti, quando non si conosce chi veramente le ha realizzate?
Lo scandalo dell’evasione delle tasse, i diritti del lavoratori di cui gli artisti sono spesso i plateali portavoce saranno capaci di dire che quell’artigiano o quell’artista sconosciuto è l’autore materiale? Tutti sappiamo quanto sia vera quell’equazione matematica che dà successo a chi è più di sinistra dell’altro, ma volete almeno dire chi fa le vostre opere, o non è "democratico"?
Tutti aderiamo alle campagne contro le ditte che per far profitti maggiori non specificano il luogo d’origine e truffano sui materiali che usano, ma quante sono le opere "tecnica mista"e "senza titolo"? Dopo alcuni anni come si fa a restaurarle? A chi si chiede come sono state fatte?
Si parla di opere che spesso superano di svariate centinaia di euro tutti quei prodotti che in commercio accusiamo di essere truffaldini perché non hanno le diciture a posto. Perché nell’arte tutto questo accade tranquillamente? Le gallerie sono il peggio di tutto, ma che dire dei musei statali che riversano cospicui bilanci in acquisti del genere?
Per la precisione ricordiamo che sono soldi di tasca nostra! Non vi dice niente questo? Illustri critici, professori e storici dell’arte e autori di libri, comprese le case editrici, ecc. siete tutti con la coscienza a posto? Funzionari italiani ma anche europei, abbiamo fatto l’Europa unita anche con la prescrizione della misura delle banane sicuramente per tutelare il cittadino, ma per cose più importanti come l’arte, possibile che non si faccia niente? Poi fa il pieno dei voti chi propone l’uscita dall’Euro… Spero che per l’arte non si faccia il rimpallo che si fa per gli immigrati, teatrino di morte. Mi rivolgo a noi tutti: ce la facciamo a mettere giù due parole come si deve che pongano fine a questo casino?
Obbligare a mettere il nome di coloro che si sono sporcati le mani per realizzare l’opera dell’artista che l’ha commissionata dovrebbe essere una concezione etica preliminare per ogni artista, curatore, gallerista e funzionario dei musei.
Troveremo qualcuno disposto a fare qualcosa? Un appello serio, che coinvolga larghi settori della cultura, non quella corrotta, mi sembra necessario.
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