L’artista, nata in Palestina, propone uno dei criteri costruttivi tipici di New York, dove ha studiato arte, come provocatorio simulacro della questione palestinese.
Tra gli anglosassoni e in particolare in USA, ’estate’ vuol dire ‘tenuta di beni’ che sta ad indicare la classe sociale. Il landscape di New York ne è caratterizzato perché nell’altezza degli edifici importanti, cioè nella espressione di potere, viene a costituire una delle città più potenti al mondo: infatti ogni società finanziaria o industriale, ogni multinazionale ecc. ha il proprio estate a simbolo della propria ricchezza produttiva, della propria importanza, del proprio stato. La gara in verticale in questa città è emblematica di un popolo che seppe individuare il simbolismo dello slancio produttivo proprio di un sistema di libero mercato.
Larissa Sansour dal canto suo ci si propone usando lo stesso elemento in senso dialettico, volto a simboleggiare il palestinese estate, un edificio che va in altezza perché, polemicamente, non può andare in larghezza per mancanza di territorio.
Territorio che è la tragedia del Medio Oriente e dell’Occidente insieme per i numerosi attentati che periodicamente subisce, ma anche provoca, in una mattanza che non sembra avere fine.
Tutto questo nell’opera-video presentata da Larissa Sansour non si avverte, forse perché lei fa parte della nuova generazione di palestinesi che, se paragonati ai loro predecessori dell’OLP, hanno un atteggiamento quasi distaccato. La sequenza di come lei, che torna in Palestina come se fosse un marziano, trova il suo stato, la sua terra cui nemmeno dà il nome proprio ma quello di Nation, e siccome la riduce a luogo impossibile le dà l’aspetto di fantascientifico grattacielo (che Larisa attraversa dal basso in alto con l’ascensore): il percorso offre una serie di spaccati visuali in cui emerge ironicamente la problematica di una nazione da farsi o anche l’impossibilità nella sua realizzazione.
Il tutto con la flemma tipica del cittadino inglese o meglio di Londra, dove Larisa vive e lavora.
L’immagine è algida, netta, pulita, non concede spazio ad altro che non sta specificatamente nel soggetto; ne risulta una sensazione di vuoto, di spaesamento che sta dentro l’ambiguità di uno spazio improprio: effetto meglio visibile nelle sette grandi foto, più un light box, scaturite dal video, foto che ricordano quelle di Stanley Kubrick per il senso di sospensione in freddi spazi di interni imprecisati. Come in cartolina la Palestina ci appare insomma da dietro un vetro, da una finestra o da una porta spalancata, come luogo che è costantemente al di là, proprio come si possa presumere che un palestinese l’abbia figuratamente in mente.
L’edificio è finto come il rendering architettonico ce lo propone: il fantascientifico stato della Palestina dove, chiusa in un appartamento, l’artista cucinerà il desiderato Tabbouleh.
Un`agghiacciante farsa teatrale della nakba di cui ricorre ogni 15 maggio l`anniversario, uno spettacolo visuale emblematico di una tragedia politica internazionale.
Larissa Sansour
Nation Estate
14 maggio 20 giugno
Montoro12 contemporary art
Roma
Monosemi, Cerimonie di sensazioni e altri procedimenti di G. L.
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