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01/04/25 ore 10:45:16

‘Attraversare il tempo con le parole’ di Catia Sonetti: tra il racconto dei cambiamenti sociali e qualche pregiudizio


  • Elena Lattes

Nel 1937, la ventiquattrenne Rita Castelli Levi, moglie e madre di due bambini, partì con il marito e i figli per andare in Eritrea, lasciando nella sua amata Livorno i genitori anziani, il fratello, le tre sorelle, i cognati e i nipoti. 

 

Nei successivi dieci anni intrecciò con loro una fitta corrispondenza e conservò poi con grande cura le lettere e le cartoline ricevute. Anni dopo la figlia Lidia le ritrovò e generosamente le affidò a Catia Sonetti, ricercatrice dell’Istoreco, l’Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea nella provincia di Livorno che ne ha studiato i testi e ne ha pubblicato un’analisi approfondita e commentata con la casa editrice Il Mulino dal titolo “Attraversare il tempo con le parole”. 

 

Nel volume dunque sono riportati ampi stralci delle missive più significative e brevi passi dei diari tenuti da alcuni dei componenti, il tutto accompagnato da numerose considerazioni della curatrice. Ne risulta un quadro sia dell’intera famiglia, sia del contesto storico e socio economico dell’epoca che, come ben sappiamo, fu segnata da estreme difficoltà e traumi profondi. 

 

I Castelli appartenevano alla media borghesia ebraica ed erano ben integrati nel tessuto urbano, ma nonostante questo, come tutti gli ebrei italiani naturalmente furono vittime delle leggi razziali, sebbene Ugo, il papà di Rita, rinomato e apprezzato farmacista, noto come “il farmacista livornese per antonomasia”, nonché generoso benefattore: (“infine, insieme alla moglie – anche se con  ruoli diversi – si era impegnato per i soldati feriti durante il primo conflitto mondiale… non aveva mai dimenticato di fare beneficenza”), così come il figlio Carlo, anch’egli farmacista, beneficiarono della discriminazione a partire dal 1940. 

 

Dal 1943 i familiari furono costretti a separarsi e a cercare rifugio prima dagli attacchi aerei, poi dalle retate naziste, ma furono tra i pochi fortunati, poiché sopravvissero tutti e nessun componente fu deportato. 

 

Tornando al carteggio, le lettere, scritte principalmente dalle donne, giunsero regolarmente, ad eccezione dei due anni che vanno dal bombardamento di Livorno nel maggio 1943 fino al rientro della maggior parte dei familiari nel 1945. Tutti comunque scrivono: dai nipoti più piccoli ai fratelli, ai cognati e ovviamente ai genitori; raccontano sia le loro vicende quotidiane, sia alcuni fatti di portata nazionale, esprimendo i loro punti di vista e i loro commenti. 

 

Ne emerge un vero coro polifonico in cui la figura di Rita, destinataria di questa ricca corrispondenza, è la grande assente, poiché le sue lettere purtroppo non sono arrivate fino a noi: non sappiamo con esattezza cosa chiedesse e rispondesse ai suoi familiari, ma molto si può intuire dagli scritti di questi ultimi; a partire dalla matriarca Emma, passando per i fratelli e i cognati di Rita e per finire ai nipoti che possiamo osservare nel loro sviluppo da adolescenti fino a giovani adulti. 

 

In quei dieci anni, la famiglia subì una radicale trasformazione: soprattutto le terze generazioni, si allontanarono dalle proprie origini, sia fisicamente (per forza degli eventi), sia ideologicamente e culturalmente, suscitando in Ugo ed Emma dispiaceri e preoccupazioni. Tuttavia, i legami affettivi non vennero intaccati a dimostrazione della grande apertura e flessibilità anche delle generazioni più anziane.

 

La Sonetti lascia parlare i protagonisti, ma pur tracciando un quadro sufficientemente realistico, si abbandona talvolta a giudizi severi o affrettati che evidentemente riflettono le sue convinzioni politico-culturali. 

 

Ne è un chiaro esempio il ripetuto accostamento del fascismo col sionismo, un parallelo che non tiene conto delle radici del Sionismo moderno nel Risorgimento italiano, entrambi espressione del desiderio di autodeterminazione dei rispettivi popoli di vivere liberi e indipendenti nella propria terra e dunque ben lontani dall’ideologia razzista ed imperialista di Mussolini. Senza contare che gran parte dei sionisti erano convinti, e in alcuni casi anche attivi, antifascisti

 

Analogamente viene sottovalutato il fatto che l’adesione al partito non era solo una scelta obbligata per evitare di nuovo l’emarginazione, ma era per molti dei Castelli, almeno fino all’alba delle leggi razziali - così come per tanti ebrei loro concittadini - , l’espressione del loro profondo legame e della riconoscenza verso l’Italia risorgimentale. Un errore di valutazione che a posteriori è fin troppo facile giudicare e che, infatti, Emma riconobbe inequivocabilmente quando, a guerra finita, ne scrisse nel suo diario con lucidità e amara disillusione. 

 

L’insistenza della Sonetti sulle presunte convinzioni fasciste e razziste dei Castelli nei confronti dei ceti meno abbienti, è smentita dalla realtà da lei stessa accennata, come ad esempio gli ottimi rapporti che intercorrevano fra tutti i familiari e le donne di servizio, nonché le costanti e generose elargizioni di beneficenza da parte del capostipite Ugo. 

 

Inoltre la storica non tiene conto dei sentimenti che potrebbero aver provato i vari componenti, come per esempio il timore di subire la censura del regime o il desiderio innato di protezione che porta gran parte dei genitori di figli lontani ad esprimere ottimismo e a minimizzare i problemi per evitare di suscitare ansie e preoccupazioni.

 

Nonostante l’interferenza di questi pregiudizi, il volume rimane comunque un contributo importante nel suo insieme poiché le lettere ricevute da Rita, diventano così testimoni di un’età segnata da cambiamenti radicali e sconvolgimenti epocali

 

Oltre al valore storico, queste lettere hanno costituito un ponte tra generazioni nonché uno strumento per mantenere e in alcuni casi rafforzare quegli indissolubili legami affettivi che resistono al passare del tempo e alle tragedie collettive. 

 

La cura con cui sono state conservate e analizzate ci permette di riscoprire una parte della nostra storia, fatta non solo di eventi pubblici, ma anche di piccole storie quotidiane, di affetti e di speranze che, nonostante le atrocità del passato, continuano a vivere attraverso le parole.

 

 


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