di Maurizio Musu
Vincitore del più importante premio letterario israeliano e best seller in patria, Come amare una figlia lancia sulla scena internazionale una interessante autrice contemporanea, Hila Blum.
Opera prima, il libro è un diario che dovremmo leggere un po' tutti ma va da sé che per alcuni queste letture potrebbero diventare una trappola magnetica nella quale non sentirsi mai adeguati con se stessi e con i propri figli.
La Blum pone l'umano femminile al centro di una indagine meticolosa, una lente di ingrandimento pronta a scavare nell'intimo di una donna/moglie/madre in perenne conflitto.
Yoela, protagonista del libro, vive nel continuo disagio con se stessa e di conseguenza i vari rapporti…
Soffocante, morbosa, claustrofobica. Bulimica.
Fin dalle prime pagine è evidente il malessere di Yoela e quanto l'essere madre l'abbia spogliata, poco per volta, dell'identità di femminile in quanto donna.
Ma è altrettanto inevitabile che la donna sia costretta a riemergere dal groviglio di emozioni che il ruolo comporta.
È una questione fisiologica quanto radicata nell'essere umano.
Non ci si può spogliare di ciò che si è.
È Yoela è donna, poi moglie e madre.
Un sentimento tortuoso, malato.
Yoela è depressa e presenta tutti i tratti di sofferenza tipici della malattia. La depressione e le sue propaggini non le lasciano scampo, neanche dopo la nascita della figlia Leah.
Emergono con evidenza paure, angoscie, delusioni. Emergono quelle ferite che non si sono mai realmente rimarginate, e prova ne sia un rapporto madre/figlia squilibrato e asfissiante. Una madre troppo presente, una madre che perde il senso della realtà nell'intimo di un sentimento eccessivo, esagerato, malato.
Il passato riecheggia lentamente nelle pagine del diario, Yoela sprofonda, nelle continue ricadute della malattia, nel suo mondo nero di lunghi silenzi, separazioni forzate, nell'insano sentirsi inadeguata e mai felice.
La Blum è brava nel descrivere questa realtà umana con la sensibilità che essa richiede.
Yoela è un corpo martoriato dall'interno, quello stesso stesso corpo che generando ha creato vita e libertà oltre che l'infinita paura di non sentirsi mai adeguati.
E poi c'è quel corpo nuovo che diventa una vita a se stante. Leah e la sua vita da figlia in un ruolo che diventa pian piano una castrazione.
In questa metamorfosi Leah è costretta nel silenzio del proprio umano a mentire per tornare o trovare un senso differente delle emozioni.
Una fuga come metamorfisi della castrazione.
La libertà ricercata, e forse trovata, passa attraverso il rifiuto di una madre inconsciamente annullante.
Amare non è una pratica scritta ma un sentimento che richiede presenza e pratica oltre che un grande lavoro di ricerca e spesso di separazione da persone e gesti opprimenti.
La fuga diventa per questo un nuovo motto interno e intimo che difficilmente potrà essere comprensibile agli occhi di chi ci sta davanti e ama e ci aspetta.
Le due donne si perdono o forse sarebbe più corretto affermare che la salvezza dell'una passa, per forza di cose, attraverso la rottura di un ruolo determinato.
Leah è donna, poi figlia e successivamente moglie e madre.
La giovane Leah abbandonando la madre e quelle premure asfissianti ritrova se stessa.
Una lettura intensa e ricca di spunti.
Una grande riflessione che investe la genitorialità da una parte e dall'altra la licenza di essere prima che figlia, donna.
Una scrittura asciutta e ricca di significato a tratti intima, di quella intimità femminile che investe e trasporta verso quel mondo umano ricco, ed alcune volte troppo ricco, di sfumature e colori sempre vivi.
Alcune pagine si leggono tutte d'un fiato, altre hanno bisogno di essere meditate.
Lasciare che sedimentino nel tempo nel nostro quotidiano ognuno secondo la propria Identità e ben oltre un ruolo di circostanza.
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