Elisa e Marco sono due ragazzini di Alghero che vanno in gita scolastica al Palazzo Carcassona. Finita la visita e usciti dall’edificio, Elisa vi rientra per andare in bagno ed è in questo frangente che incappa in un volto di pietra singhiozzante.
Così inizia la storia “Gli ultimi ebrei” di Claudia Desogus, pubblicata recentemente dalla Casa editrice Catartica, un romanzo che, partendo dal 1992, anno in cui si svolge la gita scolastica, torna al 1492, quando i re cattolicissimi Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona emanarono un editto con il quale espulsero tutti gli ebrei e i musulmani dall’intero territorio da loro governato.
Il mezzobusto che richiama l’attenzione di Elisa ritrae un ragazzo, Felicio, vissuto nella città alla fine del quindicesimo secolo che attraversò, insieme ai suoi familiari, i drammi causati dall’imposizione spagnola.
Nella statua, simile in tutto a quella presente in un’altra ala del castello, è rinchiusa l’anima dell’adolescente ebreo condannata a rimanerne prigioniera per sempre a meno che qualcuno - in questo caso Elisa, aiutata da Marco - non trovi un oggetto prezioso andato misteriosamente perduto e lo riporti nell’ambiente dal quale proviene, come simbolica riparazione ad una violenta e indifferente sopraffazione nei confronti di un giovane schiavo. (Anche il mezzobusto quasi “gemello”, presente nell’altra ala del castello costituisce la prigione per un altro adolescente: Bernardo, fratello di Felicio).
Così, fra la suspence creata dal mistero e dalle difficoltà che i ragazzi incontreranno nel dipanarlo, la magia che aleggia in tutta la vicenda (maledizioni e incantesimi, le statue che parlano e piangono, le anime imprigionate, oggetti solidi che si trasformano in liquidi, persone che scompaiono come se non fossero mai esistite e così via) ed avvenimenti realmente accaduti, il romanzo può essere una piacevole lettura molto coinvolgente anche per gli alunni delle scuole medie.
Anche l’ambientazione è bella e coglie l’occasione per fornire alcune nozioni artistico-architettoniche: “imponente e misterioso, costruito in arenaria bianca con bifore e finestre gotico-catalane, scintillava in alcuni punti sotto i raggi del sole.” La storia, non priva di insegnamenti morali (l’altruismo, la possibilità di pentirsi e di riscattarsi attraverso una sorta di riparazione per i danni inflitti, il perdono e la comprensione, il valore dell’amicizia e così via), può risultare interessante anche sotto altri aspetti.
Se, però, è veramente lodevole l’intento di far conoscere una pagina buia dell’Isola poco nota e ricordare non solo la tragedia di ebrei e arabi, ma anche il trauma (soprattutto culturale ed economico) che subirono gli ambienti nei quali fino a quell’anno avevano vissuto e operato, c’è purtroppo da segnalare la presenza di alcune piccole lacune che sembrano essere dettate sia da atavici (e sperabilmente inconsci, ma non per questo meno pericolosi) pregiudizi, sia da una visione poco approfondita della cultura ebraica (come per esempio la pronuncia del Nome divino o alcuni tratti dei discorsi fra i membri della famiglia Carcassona).
Il romanzo è accompagnato da una breve nota storica con collegamenti a fasi successive fino ad arrivare ai nostri giorni e da una bibliografia che invita ad approfondire i principali argomenti trattati.
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