Ricomporre i ricordi è operazione complicata. “Ricordo - scrive Silvio Raffo nel sito Dissensi & discordanze - deriva dal latino “re-cordor” e significa “richiamare al cuore”: è quindi un termine attinente a un diverso campo semantico, quello dei sentimenti più che della ragione, ed è decisamente più individualistico e più soggettivo; implica inoltre una sorta di filtro (conscio o inconscio?), in base al quale alcune esperienze del passato rimangono vividamente impresse o riaffiorano quando meno ce l’aspettiamo, o se le rievochiamo per trarne conforto”.
Guido Trombetti (La Compassione - Albatros edizioni) si addentra nel percorso della mente, che risponde a quella tentazione che a un certo punto diventa una necessità: tenere in vita i percorsi del proprio passato. Lo fa legandoli al sentimento della compassione, “un affetto che scaturisce dalla consapevolezza che quella umana è una condizione di finitezza e di dolore” (Ottavio Ghidini da Pearson).
II dolore che si avverte negli altri suscita commozione che produce empatia, una sorta di presa di coscienza che siamo affidati ad un percorso proprio di finitezza e di dolore che segnano la nostra fragilità. Una parte della letteratura ripropone il sentimento della compassione, anche con rappresentazioni contraddittorie.
Sulla natura virtuosa del com-patire non tutti concordano. “Eccepiscono per lo più i filosofi, insospettiti dal compiacimento della misericordia, o inclini a catalogarla tra le passioni deboli, oppure persuasi che certe forme di magnanimità caritatevole si riducano a surrogati ipocriti della giustizia sociale…”, è quanto scrive Antonio Prete in Compassione, storia di un sentimento, un saggio che può essere ritenuto una vera perizia nello scandagliare proprio questo sentimento. Lo fa seguendo percorsi diretti e anche trasversali.
Ma il libro di Trombetti rifugge, nel suo lineare percorso, da una costruzione artificiosa. Muove da un incontro e accompagna questo ricordo inserendo altri personaggi veri e di fantasia, pur sempre però ridisegnati negli ambiti dei suoi ricordi, forse anche giovanili, negli scenari e nelle ambientazioni che lo hanno accompagnato.
Rosa Marrone, nome di fantasia ma personaggio vero, è il fulcro del libro. E poi Gianna, Rodolfo, Tonino, Lino, tutti convergono comunque in una ricostruzione delicata, che rischia di muoversi nel solco del politicamente corretto, ma che per fortuna restano in parte fuori dal processo di omologazione a cui il mainstream diffuso ci spinge, molto spesso senza reale adesione a quei principi di rispetto di identità, etnica, sociale, religiosa, sessuale, politica, a cui intende riferirsi.
Nella sua scorrevole narrazione il libro fornisce al lettore una sensazione di inattesa piacevolezza. Il piacere dl testo che Roland Barthes disegna come un piacere di chi legge a partecipare al racconto. Un testo che nasce dal semplice bisogno di scrittura da parte del suo autore non determina necessariamente partecipazione nel lettore. In fondo chi scrive è spinto da un bisogno di esternare e non sempre chi legge vive il piacere del testo. In questo caso ci troviamo di fronte ad una prova che, pur suscitando in alcuni passaggi motivi di perplessità, offre proprio il piacere della rottura che, come sempre Barthes ricorda, non è il godimento, ma uno stimolo e un coinvolgimento che ti da partecipazione.
Suscitare curiosità è forse il pregio migliore di un testo, che supera anche la sensazione di essere appagati dalla lettura. Può apparire paradossale ma il richiamo nel libro a scrittori (tra cui La Capria, Melville, Balzac, Buzzati, Beppe Fenoglio, Conrad, Schnitzler…), che l’autore riporta, non ha una volontà di ostentazione, ma essi servono a fornire un clima di interessi culturali in cui anche il ricordo dell’autore si sistema come un perimetro in cui il lettore si può collocare.
Rosa Marrone è una terrorista, che sconta in carcere prima e poi in regime carcerario attenuato la sua pena, che resta indeterminata nelle sue motivazioni ideologiche. Per chi scrive, come obiettore di coscienza, nonviolento, antimilitarista, la figura di una terrorista suscita sensazioni che pure si produssero molti anni fa in occasione di un dibattito sul terrorismo tenuto a Mantova, al Festivaletteratura (allora Fiera della Piccola Editoria), al quale parteciparono anche Geraldina Colotti (oggi giornalista, già militante delle Brigate Rosse. Non si è pentita, non si è dissociata), e Prospero Gallinari (assunse un ruolo di grande importanza come dirigente della colonna romana e membro del Comitato Esecutivo. Molto determinato e fortemente motivato ideologicamente, fece parte del nucleo armato che assassinò gli uomini della scorta di Moro. É poi morto nel 2013). Allora erano entrambi in carcere, parteciparono al forum con un permesso speciale, con la presenza delle scorte preposte al loro controllo fino al ritorno in carcere.
Il profilo della loro prospettiva di antagonismo fu ovviamente l’oggetto dell’incontro-scontro, ma la loro determinazione - in particolare Gallinari - fu importante nel delineare i profili di antagonismo, regime, alternativa, assassinio come mostruosa scelta che nessuna presunta rivoluzione può giustificare, al punto che il dibattito, con anche altri interlocutori, di cui ricordo Giuliano Pisapia, Cesare Lanza, fu poi riproposto sbobinato in un numero della rivista Quaderni Radicali.
Ma Rosa appare, nel racconto di Trombetti, una figura sfumata e indeterminata nelle sue motivazioni e fornisce all’autore lo spunto per cogliere la presenza di un essere umano, che non si era mai pentita, ma che cercava una via d’uscita, forse con lo studio, a un progetto di vita naufragato.
Ecco come un frammento di ricordo ci stimola ad una riflessione sul tempo trascorso, su un tempo, gli anni del terrorismo che hanno segnato una parte della vicenda politica, istituzionale e sociale italiana. Ma anche per ridare alla nostra personale vicenda umana il senso di una rivisitazione dei fatti che ci sono accaduti e che non di rado si sono predisposti in modo tutt’altro che razionale, ma con il susseguirsi di casi imprevedibili a cui la nostra coscienza ha cercato di dare un senso compiuto…
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