Insegnare l’italiano agli Immigrati, di Lavinia Oddi Baglioni (GBE, Ginevra Bentivoglio EditoriA), inizia con una concisa introduzione di Augusto Venanzetti (Coordinatore “Scuola di italiano C.D.S.-Roma”) sul mondo del volontariato, in particolare quello focalizzato sull’immigrazione al quale L.O. Baglioni ha dato un valido contributo non solo con le sue competenze di insegnante, ma anche con il suo carattere empatico, ironico, anticonformista, pronto a sperimentare nuove metodologie didattiche.
Segue la prefazione della stessa autrice che sottolinea l’importanza di insegnare la lingua italiana ai migranti per favorirne più velocemente l’integrazione, oggi sempre più ostacolata da strumentalizzazioni politiche e razzismo che fomentano paure e violenze. I vari capitoli accompagnano poi il lettore nel suo coinvolgente percorso di volontaria.
Sulla quarta di copertina si legge: ”Nel presente volume è ripercorsa, in forma autobiografica, l’esperienza dell’autrice presso alcune associazioni di volontariato che si occupano dell’insegnamento dell’italiano agli immigrati nonché del loro inserimento sociale. Il racconto descrive come, andata in pensione dopo una carriera da insegnante di ruolo in varie scuole di ordine e grado, la stessa autrice, avvicinatasi al mondo del volontariato, abbia iniziato ad accumulare esperienza in diverse associazioni di Roma, approdando infine alla CDS ( Casa dei Diritti Sociali), con cui collabora da oltre otto anni insegnando italiano agli adulti, e a Piuculture, associazione per la quale svolge lezioni ai bambini presso l’Istituto Guido Alessi. Nel
Un libro interessante che si legge tutto d’un fiato, scritto in uno stile semplice e spontaneo, ma allo stesso tempo colto e a tratti non privo di sottile humour. E per un’insegnante in pensione, come la sottoscritta, è stata senza dubbio una toccante e significativa lettura che ha riacceso ricordi di esperienze simili fatte nella Scuola Statale dell’obbligo, nonché in associazioni di volontariato nei quartieri a rischio.
Mi sono stupita per certe goethiane “affinità elettive” con l’autrice, in particolare quando afferma che “avere molto intuito e fantasia, credo che siano le doti necessarie per un buon insegnamento, perché quando la lezione è animata , sia gli allievi che la maestra si divertono, vuol dire che è riuscita e che le emozioni non solo sono state assimilate, ma rimangono nella memoria” (pag. 62); e poi ancora quando scrive che ”l’insegnamento è come scrivere un romanzo; non lo si può imparare in un manuale”. (Pag.98).
Anche la sottoscritta, inoltre, ha dedicato infinita attenzione agli “ultimi della fila”, a quelli più umili e di tutte le razze, poiché sia nei quartieri a rischio, sia in quelli dell’high society, purtroppo gli “svantaggiati” spesso vengono emarginati e non godono appieno del diritto allo studio di cui parla la nostra Costituzione.
E poi come l’autrice penso che sei più bravi della classe sono considerati in genere più gratificanti dagli insegnanti, in realtà il vero successo di un docente si misura su quelli più difficili, poiché “la comprensione della vita con i suoi problemi e i suoi aspetti negativi e positivi si sente di più a contatto con questi ultimi della fila”.(Pag.99).
Ho ritrovato, infine, nella scrittrice lo stesso amore per i giovani, lo stesso rapporto empatico con gli alunni, lo stesso entusiasmo di tutti coloro che cominciarono ad insegnare tra gli anni ’60 e ’70 nelle scuole statali e che per anni hanno lottato, e ancora lottano, per il diritto allo studio degli svantaggiati, tra i quali oggi aumentano sempre più gli immigrati provenienti da Africa, Asia, America Latina ed Est Europa: adulti, giovani e minori (spesso non accompagnati) che sperano di trovare in Occidente una vita migliore, dopo indicibili sofferenze e privazioni di cui non amano parlare per non riaccendere dolorosi ricordi, come più volte sottolinea l’autrice.
Ecco ciò che scrissi in “Scuola di Periferia, specchio di una società multietnica”, un articolo pubblicato su “InStoria” alcuni anni fa: “Malgrado tutte le difficoltà e le lotte, alla fine qualche risultato si ottiene sempre quando si ama il proprio lavoro: oltre ai gratificanti successi conseguiti da alunni più motivati e brillanti, si registrano con gioia i piccoli o grandi progressi rispetto “ai livelli di partenza” degli svantaggiati. Non manca mai, inoltre, il sincero affetto dei ragazzi, soprattutto di quelli meno bravi. E quando queste umili, deboli crisalidi talvolta si trasformano in trionfanti farfalle, capaci di volare, otteniamo la più grande ricompensa, sia come insegnanti che come educatori.
Benvenuti siano anche i figli degli immigrati allora, se amiamo gli alunni, ma ci auguriamo che i ministri della P.I. pensino al futuro della scuola italiana con riforme adeguate ai tempi”.
Lavinia Oddi Baglioni, nata a Roma, è laureata in Biologia e in Psicologia: ha insegnato matematica nelle scuole statali e in seguito ha tenuto diversi corsi di “Scrittura autobiografica”, sia presso la Sapienza, Università di Roma, sia per la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Attualmente insegna l’italiano agli immigrati in qualità di volontaria, esperienza alla quale sono dedicate le pagine del presente volume. Organizza inoltre incontri culturali per il Club Montevecchio, che dirige da più di venti anni. Tra i suoi scritti ricordiamo: Scrivere la propria vita (Roma 2000), Memorie del Governo Vecchio (Roma 2003), Ritratti di signore (Roma 2003), Gli Artigiani di Via dell’Orso (Roma 2009), Ricordi nella nebbia (Roma 2018).
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