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22/12/24 ore

Racconti dall’aldiquà, caleidoscopio d’amore in dodici scatti di Franco Piol


  • Giovanni Lauricella

Ennesimo libro dell’infaticabile Franco Piol, un nuovo successo che va a sommarsi a quelli avuti nella sua interminabile carriera.  Franco Piol attraverso dei racconti (Racconti dall’aldiquà, Augh! Edizioni), ci porta come per magia in un mondo inconsueto di probabili ricordi, che l’autore propone come se fossero aneddoti del suo passato e che definisce come degli scatti fotografici, dei flashback, immagini che compongono un caleidoscopio che rappresenta “il mondo degli ultimi, degli emarginati, dei diversi …” come ha ben scritto Selene Gagliardi nella prefazione.

 

Una narrazione vista dall’angolo più scomodo, quello più inconsueto, servita come un menù dove assaggi vari aspetti umani prima ignorati, dove testi caratteristiche umane che un pensiero preminente emargina ma che Franco Piol rende interessanti elaborando in senso poetico  un’attenta analisi dei personaggi.

 

Singoli aspetti di una vita trascurata da tutti, resi poetici proprio perché intrisi di tanta lirica: Un Natale diverso, Sola a testimoniar la luna, Suor Maria Geltrude, E questo è il fiore, Slam!, Ritorno al provino, Ricetta acara, Parlar d’amore, Celestino, Dispetto amoroso, Mare bambino, Io e Klavine, ovvero due passi dal mare, Morte a Mestre. Episodi che sono una particolare sorta di realismo magico reso accattivante da un continuo scoprire che compone il complesso della narrazione in una forma appagante, perché questi racconti, se scritti in maniera diversa, sarebbero frammenti crudeli di vite miserabili, mentre invece tutto ti appare così toccante da superare l’angoscia degli argomenti trattati al punto che non smetti di leggere per non perderne la coinvolgente sequenza scenica.

 

Infatti, c’è una tensione offerta da un’immagine contenitore come canovaccio di situazioni che ti portano a cogliere il messaggio dei racconti di Franco Piol, non a caso ideatore di lavori teatrali, sceneggiatore, regista e poeta, che crea sapientemente questo particolare tipo di narrativa. Per chi lo conosce, non è una sorpresa, anche se si rimane lo stesso coinvolti da quello che ci si ritrova a leggere.

 

Tra tutti i suoi racconti preferisco quelli che hanno “l’inquadratura dal basso” come diceva Wim Wenders, ovvero quella dei bambini che, proprio per la loro bassa statura e per la loro naturale spontaneità nel definire le cose, le vedono per quello che sono, senza le coperture che dall’alto ti impediscono di vedere e capire; così ti appare il mondo in maniera diversa e vera, paradossalmente analitica e più piena di significati inconsueti.

 

Racconti dall’aldiquà è anche un inconsueto spaccato sociale che comunemente non viene tenuto da conto, “scatti”come li definisce l’autore, brevi momenti, che sono una continua scoperta di aspetti umani trascurati, che si rivelano in una melodia di situazioni, resi poeticamente fruibili dalla sagace abilità di scrittura che l’autore somministra per stimolarti a proseguire con lui un viaggio nei tristi meandri di un umanità profonda. 

 

Una più dettagliata trattazione andrebbe fatta per “Morte a Mestre”, dedicato ad Alberto Pudia: questo è un capitolo di Racconti dall’aldiquà che rivela una serie di particolarità care predilette dall’autore e che fanno, per così dire, il pezzo forte del libro.

 

Dai racconti “Celestino”, “Parlar d’amore” “Slam! Ritorno dal provino” sono state realizzate altrettante pieces teatrali. Dal racconto del 1963 “E questo è il fiore” hanno avuto ispirazione due kombinat teatrali: “Resistenza ieri, oggi” (1968/1969) e “Le macchie nere del racconto” (1987) da me recensito in Agenzia Radicale.

 

 


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