Nelle scuole, quando si studiano la storia e la letteratura, si accenna anche a coloro che secondo Marcello Schembri, sono gli antenati dei cantautori moderni. Ne “I trovatori. Musica e poesia”, pubblicato dalla Zecchini Editore, il musicologo medievista ne spiega dettagliatamente l’origine e lo sviluppo, nei vari Paesi europei, la loro poetica e la “prassi esecutiva”. Un vero e proprio “manuale (…) che pone in risalto le due componenti della loro arte – poesia e musica”.
Diffusi tra la prima metà del XII e il primo quarto del XIV secolo in tutta l’Europa occidentale, dal Portogallo alla Germania, passando Spagna, Francia Italia, i trovatori erano coloro che, secondo il filologo Martìn de Riquer, citato dall’autore, componevano “poesie destinate ad essere diffuse mediante il canto e che, pertanto, [giungevano] al destinatario per mezzo dell’udito”. Dunque, più sinteticamente, erano gli autori di ciò che oggigiorno chiamiamo canzoni.
È importante non confondere la figura del trovatore con quella del giullare: quest’ultimo era colui che si guadagnava la vita agendo davanti a un pubblico. Personaggio eclettico, poiché musico, poeta, attore e saltimbanco, “in grado di prodursi su qualunque tipo di ‘palcoscenico’ fornendo le più disparate prestazioni” ovvero, colui che in tempi moderni si potrebbe definire il “professionista dello spettacolo in senso lato, noto con uno pseudonimo o “nome d’arte”. Sovente vagabondo che allietava regnanti, nobili e cortigiani con le sue performance”.
Figure controverse, dunque, invise alla Chiesa che li vedeva come “servitori di Satana”, ma accolte con grande favore tanto dalle corti, quanto dalle popolazioni più povere. Forse anche perché le loro opere erano lontane dalle influenze religiose, sebbene all’epoca il confine tra sacro e profano fosse piuttosto labile e la presenza cattolica fosse incisiva e spesso dominante.
I trovatori (ma anche i giullari) furono pertanto i “portatori di nuovi valori e nuovi modelli affrancati da quelli ecclesiastici, una nuova mentalità e una nuova visione della cultura da cui scaturisce una lirica misurata sull’individuo, con i suoi sentimenti più intimi esposti alla pubblica attenzione, una lirica d’arte in volgare (non più in latino) colta e raffinata, laica (…) fondata su un articolato sistema di generi. In breve, un’autentica rivoluzione culturale”.
Nonostante la loro importanza, sia per l’epoca, sia per l’eredità che hanno lasciato e rappresentato nelle produzioni artistiche successive, dei componimenti recitati sono a noi pervenuti i testi, mentre è molto più difficile poter risalire alla loro musica e soprattutto alla ritmica, poiché in quei secoli esse non venivano trascritte e ogni giullare tendeva ad improvvisare. Tuttavia questi tre elementi erano imprescindibili uno dall’altro e senza gli ultimi due non si possono capire fino in fondo la struttura e gli escamotage usati nei testi affinché il tutto suonasse armonico.
Ecco allora, la rilevanza dell’approfondita analisi di Schembri, non soltanto in campo storico e musicale. L’autore, infatti, illustra ampiamente tutti gli aspetti del fenomeno trobadorico, anche quello linguistico e quello sociologico, aiutandoci ad immergerci, attraverso una piacevole e non difficile lettura, in un periodo considerato spesso buio e forse statico da molti, romantico e affascinante da altri.
Il libro contiene un’ampia discografia, un’appendice dedicata al corpus poetico-musicale, una bibliografia e diverse tavole a colori raffiguranti immagini dell’epoca.
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