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18/11/24 ore

Poeti sociali di Vincenzo Rosito


  • Elena Lattes

Partendo dalla critica alla società moderna, al consumismo sfrenato, ma anche all’eccessiva competitività, al neoliberismo e perfino alla gentrificazione (ovvero la riqualificazione dei quartieri popolari, attraverso la costruzione di edifici di pregio e il trasferimento di persone più agiate, con il conseguente aumento dei prezzi), Vincenzo Rosito in “Poeti sociali” pubblicato dalle Edizioni Dehoniane, analizza i discorsi che Papa Bergoglio ha dedicato negli ultimi anni ai movimenti popolari.

 

Essi sono costituiti in gran parte da contadini che rivendicano il libero accesso alla terra, da coloro che si occupano del recupero e del riciclaggio di materiali di scarto, da artigiani e piccolissimi imprenditori e sono organizzazioni fluide e dinamiche, portatrici attive di competenze professionali, nonché autorevoli soggetti di insegnamento.

 

I loro componenti, secondo l’autore, dovrebbero essere non semplici lavoratori, bensì degli “artisti”, ovvero degli essere creativi, il cui scopo non è unicamente quello di produrre beni e manufatti, “oggetti separabili dagli impieghi quotidiani”,  ma che sono capaci “di generare modi di fare” e che sanno accostare due ambiti separati e apparentemente contrastanti: il lavoro e la poesia.

 

Quest’ultima per Rosito, non richiede inventori di nuove espressioni, né saltimbanchi della parola e non ignora le regole e le “limitazioni imposte dal tempo o dagli assetti economico-finanziari”. Coloro che coniugano i due elementi, invece, creano e sconvolgono “l’ordine del già detto, pur rispettando i vincoli della propria lingua”. Gli individui che formano i movimenti sociali, dunque, combattono contro la ripetitività giornaliera, che aliena e uccide la forza propositiva.   

 

L’autore prende spunto anche dall’opera di Michel De Certeau “L’invenzione del quotidiano”, nella quale il gesuita riflette sulla distinzione fra strategie e tattiche, ma soprattutto sull’attività poetica “che non si segnala in alcun modo attraverso creazioni proprie, bensì mediante un’arte di utilizzare ciò che gli viene imposto”. Da qui il collegamento tra creatività e riciclaggio di materiali apparentemente limitati, secondari e improduttivi.

 

Queste attività accomunano persone diverse che spesso contrastano con la violenza “l’addomesticamento e la riduzione in passività”. Qual’è quindi la soluzione? Rosito sostiene che il compito dei regimi liberali contemporanei, nella cui democraticità “ciò che conta non è la votazione, ovvero l’atto con cui si prende una decisione finale, bensì il processo dialogico e argomentativo che accompagna la formazione delle preferenze individuali”, dovrebbe essere quello di “trasformare il conflitto in dissenso” portando “a espressione il disagio delle persone e dei gruppi sociali” ed evitandone la sua demonizzazione.

 

Le necessità dei bisognosi dovrebbero essere prese in carico dalla moderna società che dovrebbe essere solidale e vertere sulla cooperazione e sulla condivisione, poiché il povero non deve arrossire e l’ospite non dovrebbe sentirsi imbarazzato quando viene trattato bene. In poche parole, “chi aiuta discretamente e gratuitamente l’altro non può in alcun modo assoggettarne la libertà o comprometterne l’autonomia”. E il dono disinteressato non può “mai essere separato” dalla passione per il cambiamento.

 

Sebbene questi concetti siano piuttosto complessi, sono condensati in poche pagine che vale la pena leggere e sulle quali si può provare a riflettere anche se non si è addentro alla sociologia e alla filosofia.

 

 


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