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16/11/24 ore

L’Amicizia e la Shoah, la corrispondenza di Hannah Arendt con Leni Yahil


  • Elena Lattes

Tutto ebbe inizio nella primavera del 1961 quando Hannah Arendt venne inviata a Gerusalemme dal New Yorker per seguire il processo ad Eichmann.

 

In quell’occasione conobbe la storica Leni Yahil, di origine tedesca, discendente di Moses Mendelssohn ed emigrata nella Palestina mandataria nel 1934 con la quale scambiò quindici lettere nel corso di dieci anni.

 

Questa corrispondenza lunga nel tempo, ma breve e intensa nel contenuto, è stata pubblicata dalle Edizioni Dehoniane di Bologna nella collana “Lampi d’autore” tradotta da Fabrizio Iodice, con un’introduzione di Ilaria Possenti.

 

Fu Leni Yahil, che all’epoca era impegnata in una ricerca sulla Shoah in Danimarca, a scrivere la prima, in cui tendeva la mano alla famosa filosofa, offrendole una cordiale amicizia. Seguirono un botta e risposta che fu piuttosto frequente per circa un anno ma che poi si diradò a partire da quello successivo.

 

Nel 1963, quando venne completata la pubblicazione degli articoli sul processo ad Eichmann, in seguito raccolti nel volume “La banalità del male”,  la storica spedì  l’ultima missiva, piuttosto critica, alla quale non ricevette riscontro. Provò di nuovo a scriverle nel 1971, ma anche quella lettera rimase senza risposta.

 

Un’amicizia, quindi, che non venne coltivata, in particolare dalla Arendt, soprattutto a causa delle profonde divergenze di opinioni tra le due studiose. Nella corrispondenza entrambe le espressero in maniera lapidaria tanto che per comprenderle a fondo sarebbe necessario leggere gli scritti a cui fanno riferimento (in particolare gli articoli sul New Yorker della Arendt).

 

L’argomento principale, naturalmente, è il processo ad Eichmann, ma le due discussero anche sulle responsabilità individuali, sulla concezione di popolo e su come gli ebrei e Israele all’epoca vedevano se stessi e si ponevano di fronte ad alcuni problemi esistenziali. Concetti complessi sinteticamente chiariti e commentati nell’introduzione della Possenti, la quale si sofferma molto sulla visione della Arendt.

 

Altra divergenza, questa ben più chiara e altrettanto interessante, riguarda l’antisemitismo in Germania: secondo la Arendt non ve ne era, ma vi era il forte pericolo di una dittatura militare che avrebbe funestamente preso il sopravvento nella Repubblica Federale, a meno che non ci fossero stati “influssi dall’esterno”.

 

La Yahil, invece, trovava  “eccezionalmente sgradevole” restare in quel Paese; Berlino era “ancora insopportabile” e Francoforte faceva “spavento”. Ella era dunque contenta di uscirne nonostante avesse lì ancora quasi tutta la sua famiglia.

 

Se quanto scrive la Arendt è importante per approfondire il suo pensiero di cui si parla spesso e ampiamente, le lettere di Leni Yahil non solo permettono una conoscenza più diffusa di questa storica poco nota in Italia, ma sono un’altrettanto fondamentale testimonianza di come fosse Israele in quegli anni e dei problemi che doveva affrontare, poiché esse forniscono alcuni piccoli flash sui dibattiti politici e filosofici all’interno dell’intellighenzia israeliana.

 

Esse sono dunque una significativa documentazione sul la storia dell’epoca e dimostrano quanto la situazione attuale non sia così diversa da allora.

 

 


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