Sebbene lo Sferisterio di Macerata sia stato edificato “soltanto” trecento anni fa circa, mentre l’Arena di Verona può contare su duemila anni di storia e benché le rispettive strutture siano diverse, entrambi i teatri hanno molto in comune: da oltre venticinque anni ospitano la messinscena di opere liriche famose ed entrambe hanno avuto come sovrintendente e direttore artistico Claudio Orazi, il quale ha pubblicato con la Zecchini Editore un bellissimo volume illustrato su carta patinata dedicato ai due teatri e alla sua esperienza lavorativa con essi, dal titolo “Lo sguardo riflesso”.
Attualmente impegnato al Teatro lirico di Cagliari, Orazi fu invitato nel 1992 a dirigere la stagione lirica dello Sferisterio. Per questa occasione egli contattò il regista e scenografo Josef Svoboda e lo convinse ad occuparsi della Traviata, già inserita nel programma, nonostante lo scetticismo di quest’ultimo, il quale sosteneva che una simile opera, caratterizzata da “un tratto intimista”, non fosse adatta per un teatro all’aperto.
Fu un successo clamoroso a cui ne seguirono tanti altri, con la Sonnambula, il Rigoletto, l’Aida, la Turandot, con il ritorno, nel 1996 dopo 14 anni di assenza dall’Italia, di Samson et Dalila e con il “Volo di Lindbergh e dei Sette peccati capitali” di Bertolt Brecht e Kurt Weill diretto da Hugo de Hana.
Nel 2002 Orazi passò all’Arena di Verona dove apportò alcune innovazioni e vi rimase fino al 2008.
Alla bella descrizione architettonica e alcuni cenni sulla storia dei due teatri, segue, nel volume, l’intervento ben più corposo del critico musicale Enrico Girardi che, dopo una breve introduzione sulle caratteristiche dell’opera all’aperto, ripercorre gli episodi più salienti “della carriera di organizzatore/sovrintendente/direttore artistico di Claudio Orazi” perché, come sostiene egli stesso: “la molteplicità di soluzioni creative e formali che hanno offerto le produzioni da lui firmate rappresenta un punto fermo imprescindibile per chi voglia cimentarsi, oggi e domani, nella messinscena operistica all’aperto e comunque in spazi ‘altri’ rispetto al tradizionale teatro d’opera”.
Girardi conclude con la descrizione commentata di alcuni spettacoli all’Arena di Verona riguardanti i costumi, la musica e soprattutto la scenografia e con l’elogio degli spazi aperti che “a dispetto dei disagi che recano, possono stimolare la creatività degli uomini di teatro in modo diverso ma non meno affascinante dei teatri tradizionali…”.
I registi Henning Brockhaus, Graham Vick e Denis Krief, poi, chiudono la parte verbale con i loro ricordi e le loro riflessioni sia sulle esperienze avute con Orazi, sia sulle caratteristiche di questi due “spazi” e sul ruolo del linguaggio musicale.
Le numerose fotografie forniscono un’ulteriore idea della maestosità e della bellezza delle opere rappresentate nei due capoluoghi di provincia, non solo per i ricchi allestimenti, ma anche grazie ai giochi di luce e di specchi introdotti proprio da Svoboda allo Sferisterio.
Un’opera corale che mostra gli aspetti positivi e i retroscena dell’organizzazione di un’espressione artistica che, come scrive Girardi, “non è un vago, costoso ed erudito trastullo estetico per passare il tempo, ma è sempre stata, è ancora e potrà continuare a essere un fantastico, privilegiato, intelligente e stimolante strumento di conoscenza di sé e della realtà umana, sociale, politica e culturale nella quale viviamo”.
E come ricorda Henning Brockhaus “il teatro all’aperto in spazi non tradizionali avvicina sicuramente un pubblico più vario, meno “colto” forse, più giovane, dà vita ad un “evento” più ampio che cattura l’attenzione e la curiosità” per la musica che, come ricorda sempre il regista tedesco, fusa con il sogno, il mito, la fiaba, diventa “un dispositivo empatico” che “crea una simbiosi profonda” con lo spettatore.
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