Non sempre le semplificazioni sono un modo per far capire meglio una situazione o le differenze tra due concezioni diverse. Ne è una dimostrazione l’ultimo libro di Piero Stefani “Gli uni e gli altri” pubblicato dalle Edizioni Dehoniane. L’autore, infatti, affronta con ampia e precisa cognizione di causa e come questi ultimi hanno visto in passato e vedono attualmente i primi.
Come si può forse facilmente immaginare, l’argomento principalmente sviscerato è la “teoria della sostituzione” secondo la quale, per molti secoli la Chiesa cattolica si è autodefinita il “vero Israele”, ovvero l’erede e unico depositario della ”alleanza abramitica” e dell’azione salvifica divina, relegando i “giudei” che non riconoscevano la natura messianica di Gesù ad ostinati infedeli degni di ogni punizione e umiliazione sia a livello collettivo che individuale, come, secondo questa interpretazione, avevano previsto le profezie bibliche.
Da una parte, quindi, il cristianesimo ha sempre avuto bisogno di una presenza ebraica per un’autodefinizione che non è mai stata assoluta, ma sempre relativa, dall’altro questa concezione ha portato nei secoli a feroci persecuzioni e, paradossalmente, anche a tentativi di totale eliminazione degli ebrei. Per questo – e non è quindi un caso - la Bibbia ebraica fu chiamata “Antico Testamento” proprio in contrasto con i Vangeli che invece rappresentavano il Nuovo, ovvero ciò che aveva sorpassato e superato il primo.
Questa visione quasi bimillenaria è stata in parte cancellata dal Concilio Vaticano II e dall’enorme lavoro portato avanti dai dirigenti, dalle istituzioni e dalle associazioni impegnati nelle attività ecumeniche e nel dialogo interreligioso, ma alcuni elementi permangono, soprattutto in forma latente e subconscia. Stefani li affronta uno per uno mettendone in luce le contraddizioni e le varie versioni.
Un altro argomento importante, come si accennava all’inizio, sono le differenze concettuali tra le due dottrine, come l’acquisizione dell’identità religiosa: gli ebrei, secondo l’ebraismo, nascono tali o lo diventano in seguito ad una lunga e laboriosa conversione, che prevede attraverso lo studio e la messa in pratica dei precetti una sempre più ampia e profonda autoconsapevolezza;i cristiani, invece, non nascono tali, ma lo diventano dopo essere stati battezzati.
Da qui deriva l’analisi e la relativa mancanza di dubbi sull’identità di Gesù, degli Apostoli, degli Evangelisti e sulla nascita stessa del cristianesimo e, di conseguenza, l’infondatezza di alcune idee diffuse soprattutto in passato, quali ad esempio il racconto marciano. Tuttavia, nella storia non è sempre stato semplice definire chi apparteneva ad uno o all’altro popolo: l’autore ricorda numerosi casi di “fusioni” di identità anche di diversi livelli e dunque esiste un’oggettiva difficoltà che può mutare nel tempo, a seconda di come evolvono le relative filosofie e dottrine, nelle definizioni e nelle suddivisioni.
Un’altra differenza molto profonda e che in qualche modo si lega alla “teoria della sostituzione” è la concezione del giorno di festa: il sabato ebraico non è come la domenica cristiana; il primo è il compimento della creazione e il simbolo della libertà oltre che un precetto da rispettare, la seconda è il ricordo della resurrezione di Gesù, quindi più una testimonianza e una celebrazione.
C’è una tendenza all’interno di alcune confessioni cristiane, portata avanti con l’intento, in assoluta buona fede, di riportare i propri seguaci alla fede originale e di compiere un avvicinamento verso gli ebrei, di “sabatizzare” la domenica e, oppure, di domenicalizzare il sabato.
Un’ulteriore differenza è il rapporto con Gerusalemme e qui l’autore accenna anche alla visione musulmana: “Una sua caratteristica ben nota è di essere sacra per tre religioni. Tuttavia affermare che essa è santa per ebrei, cristiani e musulmani di per sé significa poco, se non si aggiunge che per le tre tradizioni le ragioni della sua santità non sono affatto le stesse.” Per l’ebraismo la terra è santa sia perché fa parte di una triangolazione composta dal popolo e dalla Torah sia “perché è santificata dall’ebreo e nello stesso tempo l’ebreo è santificato dalla terra in cui risiede”.
Nel Cristianesimo, invece, “l’abitare in terra d’Israele non rappresenta un principio fondativo della propria fede (…) il pellegrinaggio in quanto tale non rappresenta una prassi fondamentale richiesta dall’adesione alla fede cristiana (esso non è paragonabile al ruolo di pilastro assunto nell’islam dal pellegrinaggio alla Mecca)”. Il “luogo santo cristiano”, quindi, “è recepito come spazio memoriale di eventi legati per la massima parte alla vita di Gesù” e non è in contrasto, “in linea di principio, con la presenza ebraica costitutiva dell’ambiente originario”.
Tutt’altra concezione ancora è quella musulmana: “secondo la visione sunnita Gerusalemme fa parte dei territori costitutivi della Casa dell’Islam (…) tutta la Palestina è un territorio in cui il governo deve essere esercitato esclusivamente dai musulmani”. Dunque, “mentre il luogo santo cristiano può coabitare in un ambiente ebraico, l’appartenenza della Palestina alla Casa dell’Islam entra in contrasto con l’esistenza di un governo ebraico.”
Significativa è anche l’appendice che riporta alcuni dei “punti fermi e interrogativi aperti” stilati dal “gruppo interconfessionale Teshuvah” di Milano.
Impossibile riportare in un articolo, che dovrebbe essere una breve recensione, gli altri argomenti, le differenze e le analogie toccate dal professor Stefani, ma preme sottolineare che questa ampia e approfondita analisi non pretende di essere conclusiva; essa è un importante contributo al dibattito tuttora in corso all’interno del cristianesimo e, per chiunque, religioso o no, credente, agnostico o ateo, può essere un invito e uno stimolo ad “acquisire capacità di un autentico ascolto dell’altro.
In questi tempi nei quali si tende spesso ad eccedere nell’uso della parola, sia orale che scritta (pensiamo per esempio ai social network), dimenticando che essa dovrebbe essere alternata all’ascolto, la lettura di questo libro può aiutare anche a colmare questa lacuna di così stretta attualità.
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