Nel sedicesimo secolo l’Inquisizione imperava e migliaia di libri vennero bruciati. Tra questi gran parte provenivano dall’ambiente ebraico e, insieme al Talmud e altri commenti biblici, c’erano anche le opere di Menahem Recanati. Testi che in altre parti d’Europa venivano studiati e ristampati.
Menahem Ben Benjamin nacque a Recanati (da cui prese il nome) nel 1250 e morì nel 1310 circa, fu filosofo e scrittore e uno dei più grandi cabalisti di tutti i tempi. Era particolarmente devoto e desideroso di conoscere il senso più profondo e misterioso della Bibbia, ma seppe ben conciliare la “fede” con la scienza, tanto che acquisì grande importanza anche nel mondo intellettuale della sua epoca e di quella successiva: basti pensare che egli influenzò significativamente il pensiero di Pico della Mirandola il quale tradusse in latino il suo Perush al ha Torah (Commento alla Torah), stampato a Venezia nel 1523.
Ora, grazie al lungo e preciso lavoro del professor Giovanni Carlo Sonnino e di Nahmiel Menachem Ahronee, docente di lingua ebraica presso la Libera Università degli Studi di Ancona, le Edizioni il Prato hanno pubblicato Perush ha-Tefiloth, il Commento alle preghiere, con testo italiano ed ebraico a fronte. Un testo che era già stato tradotto in diverse lingue e di cui una copia in latino è inclusa nel ms.Ebr.190 della Biblioteca Apostolica vaticana con il titolo “De secretis orationum benedictorum”, ma di cui mancava la versione italiana. Un preziosissimo contributo, quindi, che non è rivolto unicamente agli “addetti ai lavori”, ma a chiunque sia curioso di conoscere una parte essenziale del pensiero europeo, della teologia cristiana e della concezione neoplatonica.
Inoltre, sebbene non sia di agevole lettura per chi non vive (o non ha studiato a fondo) le tradizioni e la lingua ebraiche, può aiutare ad avere un’idea delle basi fondamentali di questa cultura plurimillenaria da cui provengono le altre religioni monoteiste e una parte consistente del patrimonio europeo. Scorrendo il testo italiano qualunque lettore non potrà non evincere quanto le preghiere ebraiche sianoparticolarmente incentrate sulle lodi al Signore, siano carenti di richieste personali e soprattutto non contengano alcun anatema o espressione di disprezzo nei confronti di altre popolazioni o culture.
L’analisi del testo, che lo affronta nei minimi dettagli, fa capire quanto non solo le parole, ma anche le lettere e perfino la punteggiatura assumono un’importanza fondamentale: niente è lasciato al caso, ma tutto si presta a molteplici interpretazioni, favorendo e stimolando il dibattito e il pensiero analitico. La preghiera è infatti considerata il mezzo di collegamento tra le “forze inferiori” (di questo mondo) e le sfere celesti, il mezzo che permette l’unione mistica di due mondi che non sono separati, né vuoti e costituisce un contributo al compimento della Creazione poiché diventa una delle modalità del perfezionamento e dell’ attuazione di quest’ultima.
È perciò fondamentale comprenderne i significati più reconditi e non ridurla a puro gesto meccanico, affinché essa abbia la sua efficacia. L’uomo, non solo recitandola quotidianamente, ma anche studiandola e analizzandola, diventa un soggetto attivo e propositivo che partecipa consapevolmente alla Creazione stessa, divenendone il coprotagonista.
Altro punto focale, più volte ribadito, è l’unicità della Divinità che si basa sul dualismo di Misericordia e Giustizia. Elementi che non si contrappongono ma si completano, entrambi necessari, sebbene il primo spesso prevalga nettamente sul secondo.
In sintesi, questo piccolo volume è interessante quindi non soltanto dal punto di vista filosofico o biblico, ma anche da quello linguistico e sociologico.
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