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16/11/24 ore

Umanità e pensiero, così Caravaggio cercò Dio tra vicoli e puttane di Napoli



 di Salvatore Balasco

 

“La mia arte parla a tutti, anche a chi non sa leggere né scrivere. A chi appartiene la gloria di Dio? Ai potenti della curia? No.no. La gloria di Dio è dei poveri, degli umili, dei derelitti. Dicono che spingo il popolo a peccare perché le figure delle mie tele sono prese dalla strada. Invece hanno paura che io li sputtani. I miei quadri sono la mia libertà”. A parlare è Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, portato in scena dalla penna di Dino Falconio, che firma con maestria ‘La mattonella di Caravaggio’ (Cairo Editore, pp. 176, € 14,00).

 

In una Napoli del primo Seicento, fatta di tufo giallo striato di dolori e mille slanci di passioni, popolata da «gente che andava e veniva, “di uomini di mare e malefemmine, di forestieri e locali” che per quasi un anno gli fece da patria, il pittore delle ombre e della luce cerca Dio tra i vicoli, taverne e puttane.

 

Queste pagine si leggono d’un fiato si muovono tra il segreto del Gigante e il peccato di una monaca, la Croce a otto punte dei Cavalieri di Malta, simbolo delle Beatitudini, e una mattonella che nasconde il pianto di una vita perduta. Erba unta amalfitana e scelte di vita.

 

Napoli fiumana di umanità racconta nei colori di Caravaggio il contrasto delle ombre, le mani del destino. Si fanno “debiti con la bocca” e si aspetta che esca il sole. Anche perTommaso Campanella che resiste ai giri di corda dell’Inquisizione. Tutto è mutazione, il colore deve correre, come la vita. Uscire dalle tenebre. Vino e sesso servono a dimenticare. Ma fino a quando? “Non si scambia il campanile del Carmine per il coppo delle olive”.

 

C’è un segreto da scoprire in quelle duemilaottocentododici mattonelle, tutte uguali, tranne una. Un unico pezzo con la croce ottagonale di San Giovanni, fra le migliaia con la rosa dei venti che ricoprono il pavimento del Chiostro maiolicato dell’Oratorio dei Girolamini, a Napoli. La vecchia Titina, con le mani deformate dall’artrosi, pulisce tutti i giorni quel prezioso pavimento e solo lei conosce l’enigma di quell’unica piastrella diversa. Il messaggio e il suo destinatario. Da due secoli la sua famiglia se lo tramanda e per la donna senza figli è giunto il momento di passare il testimone a qualcun altro.

 

Una vicenda che deve rimanere segreta si interseca con la vita di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, esule nella Napoli spagnola fra l’ottobre del 1606 e il giugno del 1607, per sfuggire alla condanna a morte in seguito all’uccisione di Ranuccio Tomassoni. Un anno di vita rocambolesca di un’anima tormentata che nella città partenopea, sospesa tra mito e realtà, realizza opere immortali con le facce e i corpi di quell’umanità dolente che divide con lui i vicoli più malfamati dei Quartieri Spagnoli.

 

Santi, madonne e angeli con il volto del popolo. Col passo avvincente del romanziere, Dino Falconio ricostruisce la vicenda umana e artistica del celebre pittore lombardo come il chiaroscuro vivente dei suoi quadri: pio ed eretico, violento e sensibile, gaudente e penitente, omosessuale e donnaiolo, maschio e femmina, folle e savio, coraggioso e spaventato.

 

“In quella notte di carcere accanto a lui diventai un uomo. Piansi il giorno in cui avvampò sulla pira”, dice il Caravaggio del Nolamo. Aveva incontrato il filosofo Giordano Bruno due volte soltanto. Ma le parole del filosofo dei mondi infiniti, per il quale i filosofi sono pittori e i pittori filosofi, erano entrare nella sua carne. L’inquieta ricerca di una verità che “il tempo non arruga”, sconvolgerà la vita di entrambi. Ma saranno due grandi vite da raccontare.

 

 


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