Antonio Ingroia, già pm a Palermo e oggi avvocato, torna a rivendicare il ruolo di “partigiano della Costituzione” nel suo libro Dalla parte della Costituzione (edizioni Imprimatur; pp. 163), in cui spiega le ragioni del No al referendum confermativo del 4 dicembre sulla riforma costituzionale fatta approvare in Parlamento dal governo Renzi. Il sottotitolo del volume esplicita la chiave di lettura dell’ex procuratore: Da Gelli a Renzi: quarant’anni di attacco alla Costituzione. Al contrario di altri fautori del No che avversano la riforma perché ne vorrebbero un’altra, egli ritiene invece che vada respinta in quanto esprimerebbe l’ennesimo tentativo di stravolgere in senso anti-democratico il nostro ordinamento istituzionale.
Dal Piano di rinascita democratica, redatto dalla Loggia P2 nel 1976, a quella che definisce la controriforma Boschi del 2016, Ingroia individua una lunga teoria di assalti contro l’idea di “democrazia orizzontale”, propria a suo dire della Costituzione italiana del ’48, per sostituirla con un progetto di “Repubblica verticale” che meglio risponderebbe alle pretese di controllo da parte dei centri di potere. I pilastri di tale progetto poggiano in primo luogo sulla critica dell’efficacia delle moderne democrazie, sottoposte a crisi ricorrenti che vanno risolte essenzialmente con un rinnovato accentramento del potere e la riduzione degli spazi partecipativi.
È un’impostazione che troviamo già in un documento risalente al 1975 della Commissione Trilaterale, il think thank che riunisce i tecnocrati di mezzo mondo fondato da David Rockfeller, e che è riproposta in questo momento di crisi della globalizzazione da un documento del 2013 presentato dalla banca JP Morgan, relativo alle modifiche da apportare nei Paesi dell’Europa mediterranea.
Della riforma Boschi si può ben dire che ben aderisce alle indicazioni delle centrali finanziarie, laddove riduce il decentramento, penalizza il grado di rappresentatività e destabilizza l’equilibrio derivante dai contrappesi fra i poteri dello Stato. Grande assente del progetto di riforma presentato è un benché minimo rimando all’investitura popolare, che rimane del tutto ignorata senza al contempo por mano al deficit di rappresentatività e governabilità che ha messo in crisi la nostra Repubblica almeno a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.
Il saggio di Ingroia si chiude con un capitolo ove si analizza dettagliatamente la riforma Boschi, evidenziando i molti aspetti di criticità: dal Senato non più elettivo che predispone al depotenziamento della stessa Camera e con esso alla limitazione degli spazi del potere legislativo, in favore di un esecutivo quasi bulimico in termini di acquisizione di poteri, ampiamente facilitata dalla legge elettorale con il premio spropositato a una minoranza.
Ingroia lancia, da questo punto di vista, un accorato allarme in più parti condivisibile ma, a nostro avviso, ha l’ingenuità di considerare la Costituzione del ’48 come un testo che meglio difende la democrazia, mentre anch’essa è stata soprattutto espressione di un sistema consociativo e corporativo, nel quale – tutto sommato – ha ben prosperato una ristretta cerchia di potentati, tra i quali sono compresi anche le entità politico-affaristiche come la P2.
Antonio Ingroia
Dalla parte della Costituzione
Imprimatur ed.; pp. 163
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