di Salvatore Balasco
"Il seguace di Dioniso deve così trovarsi nell’ebbrezza e al tempo stesso stare fuori di sé come un osservatore in agguato. La maestria artistica dionisiaca non si rivela in un’alternanza di assennatezza e di ebbrezza, bensì nella loro coesistenza". Così scriveva Friedrich Nietzsche in La nascita della tragedia. Quel che conta, è provare a riflettersi e a riconoscersi nelle incantevoli sfumature che rendono “bello” ogni buon bicchiere di vino.
Il vino è storia di grandi epopee e immani tragedie, narrazione di esperienze immaginative e di grandi speculazioni; la storia dell’umanità intera, concentrata ‘magicamente’ in un solo bicchiere capace di contenere, nel proprio minuscolo spazio concavo, l’infinito tutto intero. Già, perché il vino si concede a tutti senza essere mai infedele a nessuno. Non promette nulla invano; salva perché non garantisce paradisi a buon mercato. Ma costringe ognuno a prendere le misure. Sì, il vino non mente mai. Il suo demone è eros. Quello vero, immortalato da Platone nel Simposio.
Sorretto dalla fragranza amorevole della vite, giunto al suo quarto libro sul vino, Massimo Donà allunga il campo. Lo fa da raffinato filosofo, oltre che da scrittore sotto al quale traspare, come una stuzzicante filigrana, l'immagine del colto bevitore. Il professore di Filosofia Teoretica presso l’Università San Raffaele di Milano firma Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica, nella splendida Collana 'Le uova del Drago' diretta da Gerardo Picardo (edizioni Saletta dell'Uva, Caserta, pp. 144, euro 12, prefazione del noto critico enogastronomico Giacomo A. Dente), muovendosi lungo una serie di felici meticciati e contaminazioni con territori ad alta rilevanza simbolica, che vanno dalla poesia alla politica.
E poi il vino è fatto da tutti noi…, sì - scrive il filosofo che ama il jazz - "noi, tutti insieme, sempre lo facciamo; perché il vino non è mai compiuto sino a che non abbia attraversato, leggiadro, la gola assetata degli umani. Solo dove sia stato adeguatamente degustato, il vino può infatti ritrovarsi, riconoscersi e prender la parola". Come quella trascritta da Baudelaire nelle sue mirabili invenzioni in versi.
Perché il vino è davvero dotato di una propria anima; d’altro canto, in quanto caratterizzato da una natura perfettamente immateriale, esso può trasferirsi o trasmigrare senza sosta dalla sapienza del produttore alla disponibilità del bevitore. Il vino, insomma, "riflette l’essenza stessa del nostro originario costituirci come animali dotati di logos".
Il vino è gioia, felicità, serena consapevolezza, ma anche malinconia, disperazione. Ad ogni passione - rimarca Donà - "esso offre il suo specchio rivelatore. E dunque la possibilità di trasfigurarsi; ossia, di farsi virtù anche nel peccato e nella tentazione".
Roland Barthes avrebbe sottolineato che il vino detiene poteri in apparenza plastici, poiché può servire da alibi tanto al sogno quanto alla realtà. È quindi una sostanza di conversione, capace di rovesciare situazioni e condizioni, di estrarre dagli oggetti il loro contrario. Di qui la sua vecchia eredità alchemica, il suo potere filosofale di trasmutazione e di creazione ex nihilo.
È parte del fascino del volume anche il rapporto dell'autore nei confronti di coloro che il vino lo producono. Guido Ceronetti aveva catalogato borgesianamente la fenomenologia di un vino nella immaginifica narrazione di Luigi Veronelli, autentico Gadda della narrazione enoica come esempio singolare di stile applicato a un soggetto non scientifico.
Scrive Donà: "Dovremmo tutti provare a fare seriamente i conti con la nostra intima contraddittorietà, magari in compagnia di un buon bicchiere di vino. Una contraddittorietà che è poi la medesima intorno a cui si dipanano i ragionamenti dei più grandi filosofi da ormai più di 2.500 anni".
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