Un'occasione per riflettere e per acquisire consapevolezza, ma anche una piacevole lettura sulla lirica, sulle tecniche di apprendimento e di miglioramento, utile per coloro che desiderano dedicarsi all'opera, sia in qualità di cantanti oppure come semplici, ma attenti ascoltatori.
“La voce, d'altro canto” di Delfo Menicucci pubblicato dalla Zecchini Editrice non è, come si potrebbe erroneamente pensare da questa breve introduzione, un semplice “manuale di istruzioni”, ma è molto molto di più. Innanzitutto è un inno al belcanto, un elogio alla voce umana e forse anche un po' lo sfogo di un professionista esperto e appassionato i cui sentimenti positivi, come l'amore e la totale e generosa dedizione, verso la sua attività trasudano da ogni capitolo e da ogni paragrafo.
Il maestro, interprete di 62 ruoli operistici che spaziano dal barocco al contemporaneo, che insegna al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano oltre che in varie università nel mondo, e che è fondatore e presidente di Musicartemia, mette a disposizione del grande pubblico la sua lunga esperienza, illustrando innumerevoli risvolti delle attività riguardanti il belcanto.
Si pone una lunga serie di domande alle quali però non fornisce risposte, (non perché non voglia darne, ma perché, come spiega bene, ce ne sono troppe o non ce ne sono affatto), come per esempio: “Perché ogni essere umano, di ogni civiltà, di ogni area del mondo, di ogni epoca storica ha sempre avvertito e avverte tuttora un irrefrenabile 'bisogno di cantare'?”, oppure: “Quando nasce la voce?” o ancora: “... è l'oggetto che ha riempito la voce di parola, oppure è stata la voce stessa che, dipanandosi nella parola, ha avuto necessità di inventare l'o
Quel che però è forse più utilmente rilevante è la gran quantità di consigli, inzialmente indicati più per gli aspiranti cantanti, successivamente per gli ascoltatori. Vediamone alcuni.
A meno che non si abbia qualche malformazione fisica, che, oggigiorno grazie alle tecnologie più avanzate, si può quasi sempre facilmente correggere, nessuno è veramente stonato, quindi per poter intraprendere la carriera è necessario non sottovalutarsi. Inoltre l'allievo dovrebbe avere già una conoscenza piuttosto approfondita dell'apparato fonatorio e sapere che dovrà ben coordinare le varie fasi della respirazione e dell'emissione della voce, evitando anche le occlusioni involontarie.
Altri elementi indispensabili sono l'impegno, la costanza, ma soprattutto sapersi scegliere un buon maestro che deve essere preparato, scrupoloso e onesto. Per avere poi un buon successo e attirare l'attenzione del pubblico, il cantante dovrebbe avere una personalità originale che possa spiccare fra le altre figure anche solo per un particolare inusuale, o che sappia comunque rompere il solito schema. Per conquistare i sentimenti dei propri ascoltatori egli deve essere generoso e sacrificare la propria voce per dare tutto se stesso al personaggio che interpreta, deve far sognare e creare “intorno a sé un clima... un ambiente irreale, magico”.
Sembra invece essere rivolta più ai fruitori della musica la parte riguardante le riflessioni sulla diffusione tecnologica della voce. L'autore sostiene infatti, che sia la radio, sia le registrazioni, sia gli apparecchi amplificatori distorcono l'originale, tanto che i cantanti adatti per la lirica (come fu per esempio Caruso), la quale in genere viene interpretata in teatri predisposti senza l'uso di microfoni, non sono altrettanto fonogenici per la sintesi e quindi devono essere diversi da coloro che incidono dischi o che si esibiscono via “etere” (come Mario Lanza).
In breve, quindi, l'autore, secondo cui la musica lirica è la versione più alta e pura dell'espressione canora umana, riporta al centro dell'attenzione la voce, come dote naturale che deve essere coltivata, valorizzata e non distorta da apparecchiature di qualunque tipologia.
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