Nato a Milano nel 1933, ebbe una carriera brillantissima che lo portò alla fama mondiale grazie al talento eccezionale, ma anche al fatto di essere figlio d'arte: il padre Michelangelo insegnante di violino, il fratello maggiore pianista e successivamente direttore del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Cominciò a prendere lezioni dalla madre, anche lei pianista e scrittrice per bambini, fin dall'età di otto anni e appena trentenne vinse il prestigioso Premio Mitropoulos della New York Philarmonic.
Cinque anni dopo soltanto iniziò a dirigere la Scala di Milano e poi divenne direttore anche dell'Orchestra filarmonica di Vienna, di Berlino e dei London Symphony. Collaborò con l'Opéra di Parigi e con la Fenice.
Una figura poliedrica e complessa che traspare dalla biografia scritta da Alessandro Zignani e pubblicata dalla Zecchini Editore: “Claudio Abbado Le opere e i giorni”.
L'autore lo descrive come un uomo riservato, sensibile e attento (“comprende che i silenzi contano quanto la musica nella Dannazione di Faust” e citando un'intervista: “mi viene da pensare che sia più facile cercare quello che non c'è, nel Flauto piuttosto che elencare tutto ciò che vi si può trovare al suo interno”), che vive la musica come se fosse un “paesaggio interiore: un luogo da abitare”; preciso e scrupoloso: “Come direttore del teatro viennese seguiva tutto, perfino le prove, sia quelle musicali che quelle di costume”.
Un artista impegnato, ma aperto: “rifiutò sempre ogni etichetta politica: lo scopo dell'interpretare, è lasciare aperte le derive del labirinto”. Nonostante ciò, tuttavia, alla fine degli anni sessanta “fu accusato di bolscevismo pur essendo contro ogni ideologia di partito e per un impegno dei singoli nella costruzione di un mondo migliore”.
Una filosofia che ha sempre messo in pratica, soprattutto aiutando i giovani: fondò in Germania, con Natalia Gutman, “gli Incontri berlinesi dove si dà la possibilità a giovani talenti di esibirsi insieme a maestri riconosciuti dalla scena concertistica”, si adoperò per fornire nuovi strumenti ai musicisti cubani poco e male attrezzati e per creare a Caracas, in Venezuela “una serie di collegamenti e patronati tra i musicisti e i Berliner, coinvolti in prima persona, come tutori, nell'educazione dei giovani talenti sbocciati tra le lamiere suburbane.
Alcuni di questi giovani ricevono borse di studio per andare a studiare in Europa. Abbado stesso tiene a battesimo un'orchestra giovanile allargata a tutta l'America Latina”.
Leggendo il libro si potrebbe dedurre che secondo l'autore Abbado fu un ponte ideale e culturale tra passato e presente: interpretò magistralmente i compositori da Beethoven a Brahms, da Verdi a Wagner, da Mozart a Mahler e Schubert, ma non disdegnava la musica moderna: fondò nel 1988 il Wien Modern, un festival ad essa dedicato e non mancò mai occasione nel diffonderla e promuoverla.
Zignani non ne traccia soltanto un ritratto, ma scava in profondità, descrivendo minuziosamente le interpretazioni sempre nuove e originali che Abbado dette dei più grandi musicisti e delle atmosfere sia politiche che culturali nei vari tempi e società in cui il direttore è vissuto e ha lavorato.
Non sempre di facile lettura, è comunque molto interessante e costituisce un importante saggio accompagnato da una discografia ragionata.
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