Dall'uscita del primo periodico ebraico a Konigsberg in Germania, nel 1784, passarono poco più di sessant'anni per vederne uno stampato anche in Italia. Nell'ottobre del 1845, infatti, venne pubblicato dalla Stamperia Carmignani il primo numero della “Rivista israelitica”, diretta dal modenese Cesare Rovighi, letterato e patriota del Risorgimento.
Nelle intenzioni iniziali sarebbe dovuto essere un mensile, ma nei poco più di due anni di vita, uscirono soltanto undici numeri, per problemi di vario genere, fra cui, forse, quelli economici e politici (non dimentichiamoci il fermento che animava in tutta la Penisola).
Di dimensioni variabili, era costituito in media da poco meno di settanta pagine, ma arrivava a volte fino alle 150 e trattava di argomenti diversi, usando stili differenti. Vi si potevano trovare racconti, poesie, sia in italiano che in ebraico accompagnate dalla traduzione, trascrizioni di discorsi pronunciati in varie cerimonie, dibattiti, notizie riguardanti gli ebrei estensi, ma spesso anche di altre regioni o altri regni italiani (Granducato di Toscana, Papato, Piemonte, e così via) e, perfino, di alcune lontane province dell'Impero Austroungarico e di quello zarista. Era aperto anche ad annunci privati e a contributi “esterni” (particolarmente significativo l'articolo di un sacerdote cattolico premonitore della posizione di una parte della Chiesa che venne ufficializzata soltanto centovent'anni dopo).
In sintesi, come recitava pure il sottotitolo, era un “Giornale di morale, culto, letteratura e varietà” dal quale traspariva il libero pensiero di alcune delle figure di spicco dell'epoca. Costava 15 Lire e veniva spedito per posta agli abbonati.
Anche gli argomenti erano i più disparati: dall'educazione ai problemi pratici, di ordine morale, o identitario, dalla linguistica alla storia, al rapporto con i governanti e con i concittadini appartenenti ad altre religioni.
Una rivista interessante, quindi, per capire l'atmosfera che regnava all'epoca delle guerre d'indipendenza e alla vigilia dell'emancipazione avvenuta nel 1848 con l'emanazione dello Statuto Albertino nel quale agli ebrei e ai valdesi venivano riconosciuti finalmente, dopo secoli di persecuzioni e vessazioni, pari diritti e pari dignità di cittadinanza. Un'atmosfera evidentemente molto ottimista, aperta, partecipativa e dialogante con le realtà circostanti, in cui si sentiva già un senso di libertà e veniva espressa, neanche troppo velatamente, l'aspirazione all'unità d'Italia.
Recentemente la Biblioteca Palatina di Parma, che è l'unica istituzione a possedere tutti e gli undici numeri, ha deciso di ripubblicare l'intera collezione proponendo al grande pubblico un volume di oltre ottocento pagine a cura di Ercole Camurani con le note introduttive di Sabina Magrini, Direttore della Biblioteca, e di Vincenza Maugeri, direttore del museo ebraico di Bologna.
Il tutto corredato da una postfazione del professor Bruno Di Porto nella quale illustra magistralmente le varie correnti e l'ambiente dell'epoca contestualizzandoli, raccontando vari interessanti retroscena biografici, sociologici e storico-filosofici, la genesi della rivista e gli effetti che portò nella società ebraica italiana.
Una pubblicazione preziosa non soltanto per la diffusione di documenti così importanti e quindi non soltanto per storici o studiosi di ebraismo, ma anche per chi desidera conoscere meglio il proprio Paese e gli albori della democrazia odierna.
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