Parola d'umiltà e formata la società...'. Male lingue sono quelle usate nei Codici della 'Ndrangheta per comunicare tra gli affiliati; sono i gerghi dai lontani echi medievali, sono gioco linguistico, camuffamento, alterazione. La malavita le usa per nascondere e per ribadire un'appartenenza.
Il saggio 'Male lingue. Vecchi e nuovi codici delle mafie' (Luigi Pellegrini editore, pp. 248, euro 18), è un lavoro a più mani, firmato da Nicola Gratteri, Marta Maddalon, Antonio Nicaso, John B. Trumper. Dunque due tra i maggiori esperti della criminalità organizzata e due linguisti ed etnolinguisti hanno messo insieme le loro conoscenze con lo scopo di riunire entrambe le componenti che, inscindibilmente, costituiscono i codici delle vecchie e nuove mafie.
Perchè la 'ndrangheta è la più potente delle associazioni criminali: si è estesa al Nord e oltreoceano, si è evoluta, ma i suoi Codici vengono ancora tramandati. I codici nascondono e modificano le norme di comprensione in modo da confondere, fuorviare chi non deve sapere, ma costituiscono anche strumenti per affiliare, definendo il cerchio ristretto 'di chi sa'.
I contenuti e la lingua di questi testi sono stati messi sotto la lente dagli studiosi e hanno fornito risposte alle molte domande che il fenomeno delle associazioni mafiose pone fin dalle sue origini. Da dove nasce la necessità di creare un insieme di regole e prescrizioni, da quando vengono ricopiate e trasmesse, chi sono i protagonisti dei racconti che gli 'ndranghetisti si inventano, perchè é necessario creare un mito intorno a queste associazioni?
I codici diventano quasi un genere letterario, appartenente al vasto filone della letteratura popolare. Fin dalla fine dell'Ottocento, vengono trascritti su innocui quaderni, in grafie svolazzanti, mentre oggi su fogli a righe o block notes, utilizzando, talvolta, simboli crittografici trovati in rete.
''Il codice - spiegano le pagine di 'Male lingue' - é un oggetto culturale che risponde a due principali istanze: da un lato, la necessità di stabilire regole certe, di identificare un organigramma gerarchico, di amministrare i proventi delle proprie attività e di comminare sanzioni; dall'altro, l'esigenza di utilizzare statuti e codici per unire e identificare gli associati''.
Il cerimoniale, le norme dei Codici, i miti fondativi, più che elementi inventati o ideati autonomamente da esponenti della malavita calabrese, sembrano costituire un'operazione di condivisione. Simili aspetti contribuiscono a creare quello che, sulla scorta di quanto avviene per il linguaggio, si puo' definire 'nucleo normativo comune'.
A partire dalla stesura dello Statuto della Bella Società Riformata, di cui si ha notizia già nel 1820, nelle carceri dell'ex Regno delle Due Sicilie, si diffonde l'uso di utilizzare e applicare un insieme di norme e rituali, specialmente a opera di detenuti prevalentemente di origine napoletana.
Per gli autori del saggio, ''tra le tre principali organizzazioni criminali italiane, quella che mostra di essere più fedele alla tradizione è la 'ndrangheta che, ancora oggi, osserva le norme mutuate dalla Bella Società Riformata nelle carceri borboniche''.
Della malavita barese di fine Ottocento non è rimasto nulla. Altre forme di associazione criminale hanno preso piede negli anni Ottanta e Novanta del Novecento grazie all'influenza della 'ndrangheta e della camorra. I mafiosi siciliani sono quelli che meno appaiono influenzati dal modello napoletano. I siciliani, infatti, oltre a evitare la coscrizione obbligatoria imposta dai Borboni, mai ne hanno accettato la supremazia politico-militare.
Va ricordato, comunque, che anche nel caso della mafia, cosi' come in quello di tutte le organizzazioni che l'hanno preceduta, tra cui la 'Fratellanza' di Girgenti o gli 'Stuppagghieri' di Monreale, esistevano sistemi di riconoscimento tra affiliati e riti di iniziazione, quali il bendaggio del novizio, la distruzione di un'immagine sacra e la punzecchiatura del labbro o del dito e cosi' via.
Il lessico utilizzato è, in gran parte, preso e ripreso da quel 'nucleo comune gergale' che secoli di lingue speciali e parallele hanno contribuito a formare. Con analoghe modalità, anche i contenuti si sono sostanziati nel tempo e, a causa dei frequenti contatti, hanno via via assunto un significato perverso e antitetico rispetto a quelli ufficiali. Ha preso corpo anche un altro nucleo comune, quello dei riti e delle regole, a cui hanno attinto le associazioni per tracciare, ognuna con proprie prerogative e caratteristiche, il percorso criminale.
''A rafforzarle e a mantenerle in vita - rimarcano gli autori di 'Male lingue' - ha contribuito un vasto consenso sociale, garantito non soltanto nei territori d'origine, ma anche in quelli di nuovo insediamento. I mafiosi che dai riti hanno ottenuto legittimazione culturale, nel tempo, sono riusciti a stringere patti inconfessabili con politici e pubblici amministratori per il controllo del territorio e dei flussi finanziari dell'economia assistita. Contrariamente ai ladri descritti da Dickens e ai miserabili raccontati da Hugo, i picciotti italiani sono stati vezzeggiati, legittimati e riconosciuti dal potere. Ieri come oggi''.
Salvatore Balasco
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