di Vincenzo Basile Polgár
Peculiare di questo allestimento la fragile personalità dei protagonisti della storia, posti di fronte all’angoscioso dilemma morale: a chi essere fedeli? Al loro paese, alle loro famiglie o al loro amore?
La vicenda si svolge in un contesto di guerra che di volta in volta invade la scena rinviandola al reale. Del resto come evitarlo anche volendolo?
È solo l’inizio di un percorso di rimandi tra realtà e sua rappresentazione, passato e presente, quì e l’altrove, passione e calcolo egotico, tra l’esistente e il suo doppio, in qualsiasi modalità possa esso declinare e dipanarsi
L’Egitto, superpotenza d’altri tempi, sta per ottenere una vittoria che agognata da tanti, con l’eccidio di massa di innocenti, donne, bambini, famiglie, permea di morte gli opposti belligeranti, obnubilati da una sacralità dell’anima strumentale all’avidità di conquista, ma a quale prezzo, ce ne fosse mai uno adeguato, sembra chieder conto il testo ai testimoni astanti?
Già ad apertura di sipario questa Aida presenta una comunione di intenti tra molteplici professionalità di speciale levatura artistica. La composita scenografia ricca di colori, plasticità di volumi e suggestioni, cattura la platea già nelle prime frasi della maestosa Ouverture. Che la vicenda volga poi in atroce conflitto e pertanto in dramma appare naturale e l’iniziale fascinazione catartica non si attenua al mutare delle visioni e dell’ascolto.
Pur smagliante all’ingresso delle due Primedonne, l’antefatto cede progressivamente il passo alla stupefacente impresa canora di Eszter Sümegi, un’Aida di impatto scenico tale da esondare subito in platea.
La scenografia di Zsolt Khell, combina manierismo estetico e suggestione simbolica in un design di sobrio ed efficace impatto.
Il tenore, Boldizsár László nella parte di Radamès regala subito il suo meglio come amante di Aida fino al sopraggiungere di Amneris, antagonista esemplare, la soprano Judit Kutasi, irraggiungibile per carisma e vocalità.
Primadonna coprotagonista e rivale dell’altra ma solo e appassionatamente a beneficio della resa complessiva di uno spettacolo che, dal secondo atto in poi, si rivelerà indimenticabile e emozionante grazie all’amalgama dei due straordinari, innati talenti, provvidenzialmente sorretti da capacità espressive attoriali, canore e comunicative che soddisfano appieno le pur elevate aspettative di un pubblico fedele ma smaliziato e sempre all’erta.
Nei tre atti successivi, appaiono soldati e armi in pugno, mitragliatrici nelle mani di giovani ma consumati danzatori e danzatrici che, nelle parti di balletto ideate dalla coreografa Kriszta Remete scandiscono, alternandosi agli acrobati di Vincze Tünde, il ritmo le fasi successive delll’Opera.
É Carlo Montanaro, italiano vero, già acclamato nei principali teatri d’Opera, da Berlino a Verona, a New York e Tokyo e oltre a dirigere l’Orchestra e il Coro di un evento che a ragione si inserisce nella migliore tradizione del bel canto, come dimostrano i copiosi, riconoscenti applausi che determinano per quattro volte, protagoniste in testa, le compiaciute uscite degli artisti fautori di un trionfo.
Aida
di Giuseppe Verdi
Hungarian State Opera (2024)
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