Noi sogniamo la voce, il suo abisso, di cui poi ricordiamo l'ansimare di curve immagini, il volto desiderato. Di quelle parole inconoscibili, perdute, solo la maschera riusciamo per un istante a conservare. Sogniamo la voce delle cose e le ricordiamo come dolorose figure.
Del prevalere della voce sull'immagine, nel sogno, scrissi nel 1983, in "Scena oscena", Officina edizioni. Quarant'anni dopo, l'anno scorso, ne ho parlato in "Montagne pensose, dialogo sulla poesia", D'Amato editore, un intenso libro scritto insieme a Dacia Maraini.
RINO MELE
Le parole del sogno
Nelle tenebre del sonno gli enigmi
della voce precedono
l’immagine, l'ansia degli uccelli
uccisi nel volo,
il duello del reziario
che nella rete
della morte rimane impigliato.
Il mare è fermo
come pietra, immemori conchiglie
vuote
nell’abbecedario dell’infanzia.
I gridi del sogno
smuoiono, diventano
visione, la maschera che copre
la voce
e le vocali del pianto, il suono
dolce come il sussurro
delle api
tra le labbra dei morti,
l'urlo muto
della bocca di tua madre che,
mordendosi, ti baciava
per togliere la pena
e farti dormire: l’uccello ucciso
nel volo
continua a cadere nel fango
primaverile, si sentono altri spari
come pungessero
l’aria.
Durante la veglia, lo scandalo
della morte torna
a contrastare la vita, darci l'orrore
del lutto.
I suoni diventano un'appena
ricordata visione,
si chiudono
sul duello del reziario
senza spada, nel delirio
di un duello impossibile, tra l’abisso
delle onde
e l’altro gladiatore a terra
- nel sangue di un labirinto circolare -
che insegue il proprio dolore.
Dei pensieri del sonno
ci addolorano
fugaci immagini, l'incubo
di essere divorati da aspre voci,
il duro parlare
dei morti che ricordiamo
in figura, nel rovescio delle cose:
il loro respiro soffocato,
l'urlo infinito
che sopravanza e scompare.
Non resta che un desiderato dolore.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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