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19/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Le parole del sogno



Noi sogniamo la voce, il suo abisso, di cui poi ricordiamo l'ansimare di curve immagini, il volto desiderato. Di quelle parole inconoscibili, perdute, solo la maschera riusciamo per un istante a conservare. Sogniamo la voce delle cose e le ricordiamo come dolorose figure.

 

Del prevalere della voce sull'immagine, nel sogno, scrissi nel 1983, in "Scena oscena", Officina edizioni. Quarant'anni dopo, l'anno scorso, ne ho parlato in "Montagne pensose, dialogo sulla poesia", D'Amato editore, un intenso libro scritto insieme a Dacia Maraini.

 

 

  

 

 

RINO MELE

  

 

 Le parole del sogno

 

Nelle tenebre del sonno gli enigmi 

della voce precedono 

l’immagine, l'ansia degli uccelli 

uccisi nel volo, 

il duello del reziario 

che nella rete 

della morte rimane impigliato. 

Il mare è fermo 

come pietra, immemori conchiglie 

vuote 

nell’abbecedario dell’infanzia. 

I gridi del sogno 

smuoiono, diventano 

visione, la maschera che copre 

la voce 

e le vocali del pianto, il suono 

dolce come il sussurro 

delle api 

tra le labbra dei morti, 

l'urlo muto 

della bocca di tua madre che,

mordendosi, ti baciava 

per togliere la pena 

e farti dormire: l’uccello ucciso 

nel volo 

continua a cadere nel fango 

primaverile, si sentono altri spari 

come pungessero 

l’aria. 

Durante la veglia, lo scandalo 

della morte torna 

a contrastare la vita, darci l'orrore 

del lutto.

I suoni diventano un'appena

ricordata visione, 

si chiudono 

sul duello del reziario 

senza spada, nel delirio 

di un duello impossibile, tra l’abisso 

delle onde 

e l’altro gladiatore a terra 

- nel sangue di un labirinto circolare - 

che insegue il proprio dolore. 

Dei pensieri del sonno 

ci addolorano 

fugaci immagini, l'incubo 

di essere divorati da aspre voci, 

il duro parlare 

dei morti che ricordiamo 

in figura, nel rovescio delle cose:

il loro respiro soffocato, 

l'urlo infinito

che sopravanza e scompare. 

Non resta che un desiderato dolore.

 

 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

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