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27/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Albero delle anime



La massa totale di tutto ciò che è vivo (forse più del 99,7 %) è   costituita da vegetali: “La specie umana, insieme a tutti gli animali, rappresenta appena uno sparuto 0,3 per cento” (lo scrive Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, Università di Firenze, in Mancuso e Viola, “Verde brillante” ed Giunti, 2015). L’importanza degli alberi nella “Commedia “ di Dante è totale. È la figura che interpreta, per lui, anche il senso arcano del tempo.

 

 

 

 

RINO MELE

 

 

Albero delle anime

 



La prima immagine è una selva, quell'intrico 

dentro cui ci si perde

e il passo si lega, torna indietro, Dante

entra da dove nessuno può uscire: il labirinto,

il mondo dei morti, il burrato,

il perduto della vita, quel suono che si ripete largo

d'estate nell'aria meridiana 

per non tornare più.

Sale a fatica il Purgatorio, il continuo forzare 

il piede verso l'alto. Nella sesta 

cornice, tra i golosi (aveva da poco incontrato 

un altro poeta, 

Stazio) all'improvviso Dante vede capovolgersi 

il mondo: in mezzo alla strada dei morti è radicato 

un albero 

con la cima in basso, come un abete 

impazzito, i rami 

sembrano scendere una scala, carichi di pomi, il verde

azzurrino delle foglie. Dalla montagna

scorre un'acqua che lo bagna e l'albero se ne disseta, 

"cadea de l'alta roccia un liquor chiaro 

e si spandea per le foglie suso". 

Anche l'acqua scorre 

secondo il desiderio  di Dio.

Tra i morti l'immagine rovesciata 

mostra la disperazione di una pena: lo specchio 

riflette della morte lo spavento, il contrario 

del suo volto che è ancora lo stesso viso. Quell'albero 

era così fitto di foglie 

che non si vede chi vi si nasconda, una voce 

condanna la pratica di un piacere che presuppone 

la morte di un altro per fame. 

In quell'albero Dante strugge i suoi occhi, cerca la voce 

che lo cerca: "gli occhi 

per la fronda verde / ficcava io". Ricorda 

quando andava a caccia 

di uccelli per farli prigionieri, sulle colline di Fiesole,

ed entrava nei rami come stanze 

che s'aprano, tra quei rami ora si perde, affonda 

in un lago 

amaro: questo fanno sempre gli alberi, 

ci legano ai morti, indicano la verticalità delle radici 

a inseguire la cima.

Non era forse anche l'inferno un albero rovesciato? 

Trascinato 

da quest'immagine viva 

verso lo sprofondo, Dante sapeva che non c'è salvezza 

senza patire il male. 

Nell’albero del Purgatorio, entra 

con gli occhi graffiati, come un ladro d'uccelli:

ogni albero è un uomo 

che non corre mai, non insegue inseguito, fermo 

nella verticale 

attesa, il vento (o è Dio?) suona tra i suoi rami, 

mette la bocca 

sulle radici, scuote i rami nella pioggia.

 

 

_________________________________________ 

 

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

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