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26/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Un asino per entrare a Gerusalemme



“Se essi tacciono grideranno le pietre” dice Gesù nel Vangelo di Luca (19, 40). È il capitolo che segue l'entrata gloriosa in Gerusalemme: leggendo avvertiamo d'essere sull'orlo di un cratere, il tempo dell'uccisione di un innocente. Ed è un delirio cui non ci si può sottrarre, ogni volta che questo avviene.

 

"Grideranno le pietre" è anche il titolo di un libro di taglienti versi di Ildebrando Priore, pubblicato nella seconda metà degli anni Quaranta, e che lessi allora, fu uno dei primi libri di poesia che, bambino - la guerra appena finita - ebbi la ventura di avere tra le mani.

 

Infine, il riferimento a Giotto: nella cappella degli Scrovegni il magnifico affresco di Gesù che entra a Gerusalemme benedicente su un asino e la gara della folla nel glorificare il suo cammino.                                    

 

 

 

 

 RINO MELE

  

 

UN ASINO PER ENTRARE A GERUSALEMME

 

Un puledro all'inizio del racconto. Poi, inizierà la Passione, essere

scorticato nel dolore, come quando la corda

s'attorciglia, si spezza

e tu non puoi fermarti dal precipitare,

il secchio sbatte contro le pareti del pozzo, cadi

attaccato alla fune che t'è rimasta in mano e, urtando

le pietre taglienti del nero

sprofondo, credi di risalire, tanto non ha fine quel finire.

Su quel puledro, nella sua piccola apoteosi, Gesù

entra a Gerusalemme, la folla lo acclama, 

a gara stendono mantelli e verdi 

scialli perché gli zoccoli del puledro trovino più agevole

cammino. Giotto lo dipinse grigio col muso bianco, e sul dorso Gesù

come un trionfatore, che sa il dolore, 

la sconfitta, l'inutile 

clamore. Con l'ironia terrificante di un Dio, sceglie 

quel modo strano d'entrare in una superba città dove sa di 

morire: il puledro 

si meraviglia di non sentire alcun peso, vorrebbe galoppare, tra tutte

quelle braccia che gli corrono incontro 

nel tripudio della festa.

Da bambini giravamo le strade con le braccia cariche di piccoli rami

d'ulivo, esausti

di correre nel sole d'aprile e gridare, sentivamo le campane rincorrerci

e sembrava un mare  

che ci riprendeva nella nostra dimenticata felicità. San Matteo 

dice che quel giorno tagliarono i rami e li posarono a terra come una

simulata selva in cui Gesù si trovò a passare,

Marco racconta che fu un irrefrenabile 

agitare di rametti, ramoscelli,

le bandierine verde e argento delle foglie, per Giovanni

non furono rami d'ulivo

ma quelli larghi delle palme e sembravano ali. Gli gridavano Re,

Figlio di Davide, lui non si scherniva,

sentiva una diversa pungente corona sul capo.

Quel giorno a un fariseo che gli rimproverò quelle parole,

rispose: "Se essi tacciono 

saranno le pietre a gridare". Tra apoteosi

e umiliazione

portava il suo corpo verso il tempo di lasciarsi legare a una croce.

 

 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

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