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26/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. La bicicletta di Moro



Il 16 marzo 1978 Moro e i cinque agenti della scorta sono sterminati a via Fani dalle Brigate Rosse. La morte di Moro, prigioniero, è dilazionata di 55 giorni. Sarà ucciso all’alba del 9 maggio. I versi del testo La bicicletta di Moro sono una delle venti stazioni del mio Il corpo di Moro, pubblicato nel 2001 da 10/17 (la seconda edizione è del 2018 con le edizioni Oédipus). Il corpo di Moro, primo premio DeltaPoesia 2002, è stato rappresentato al Teatro Verdi di Salerno e al Teatro Il Vascello di Roma per la regia di Nuccio Siano dal gruppo teatrale Porta Nova e Beat 72.

 

                        

 

 

 

POESÌ DI RINO MELE

 

 

La bicicletta di Moro

 

 

Sul letto un lenzuolo, una coperta militare,

vorrebbe camminare, piano,

ad Ostia, sentirsi i piedi scalzi bagnare

dall'onda che stordisce, e risale

il suo petto scavato, il ventre intristito, le mani

lunghe come sciogliesse un nodo

che non si lascia slargare. Quale tortura

dormire le notti di maggio di quel suo ultimo

anno. Si distendeva piano,

chiudeva gli occhi e come un ciclista

pensava la sua vita, una salita impervia,

la bicicletta ferma, l'ansimo di uno stentato

respirare, quell'asma

pungente che travaglia il respiro, quasi il mare

dall'alto stesse per precipitare. Sognava

un muro di pietra, la pagina

di un abbecedario sporca d'inchiostro, i colori

sbiancati, "b" è la bandiera,

"r" la rivoluzione, "c" la canzone,

ma non riesce a ricordare

i versi di nessun canto, sente solo un lamento,

i poliziotti uccisi, la madre, il vento

che urla le scale. Ricordava i volti e li vedeva

morti, i potenti sembravano risorti

alla rovescia, la testa in giù, le braccia

aperte, le lunghe radici dei piedi, il guizzare

stanco. Dormiva in una folla

vestita di nero, gli uomini calvi, le donne

dai capelli rossi, i bambini

di plastica sepolti. Sentiva il suo corpo

diviso, distratto in più parti, il capo

posto sul cuscino, le braccia

per terra, il cuore stretto tra le mani

che spremono il sangue in un bicchiere.

Poi, svanendo 

si ricompone, le gambe sono la figlia Anna

a destra, e la sinistra è Agnese (quella

del cuore), le braccia

tornano leggere al loro posto, il collo regge

la testa distrutta dalla sabbia, la voce

è un sibilo lieve di uccelli. Ora

è fermo. Dal sonno in un più duro sonno,

di margine in margine

annega come pioggia che in altra si perde.

 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

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