Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

26/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. L'interdetto di vivere



La figura del padre è il nodo che non si riesce a sciogliere, il familiare estraneo che punge i pensieri. 

 

In L’Io e l’Es (1922), nelle ultime pagine, Freud scrive: “La domanda a cui ci eravamo riservati di rispondere in un secondo tempo era: come mai il Super-io si esprime essenzialmente come senso di colpa (o meglio come critica; il senso di colpa è la percezione che nell’Io corrisponde a questa critica), e manifesta una così straordinaria durezza e severità nei confronti dell’Io?”.

 

 

 

 

 

POESÌ di Rino Mele

 

  

L'interdetto di vivere

 

Sulla superficie di una vita che non conosciamo,

scivolando

veloci mandiamo segnali dal doppio significato. Tra inaudite violenze

c'inerpichiamo

infelici

gridando parole inseguite da pensieri afoni.

Mentre il sonno urta col suo muso caldo di bestia

la nostra intisichita ragione

- l'artrosi

delle dita che la notte finalmente scioglie -

percorriamo

l'aspro sentiero di morte

per evitarla,

nel freddo volto della madre, il padre

dal quale vorremmo ancora nascere, e che fugge via dal nostro orrendo

richiamo. 

Lui assegna la colpa, e il tempo

del soffrire: l'unico modo di evitare la sfida

è corrergli incontro, salirgli

sulle braccia, fermarsi in equilibrio

sulle sue spalle mentre, poggiandosi a un bastone, guada il torrente, e

l'urtano

i sassi. Solo nei sogni può tornare

indietro il tempo

e il padre (che ne è figura)

liberatosi di quelle onde ostili, diventato leggero,

non ha più impedimenti a correre, e sono io - il figlio - a tirarlo in alto,

e vedo

di nuovo i luoghi in cui continuamente ci perdevamo, l'angoscia

ripetuta, la continua condanna dell'io,

la colpa. Il tempo lo conosciamo sapendo di non poter sfuggire a quel morso,

nell'inutile richiesta

di salvarci, ed è il continuo sognare il padre,

salirgli le braccia,

fare delle sue spalle le più interne scale, nell'alba

chiusa

dalla brina notturna dell'orto.

 

   

 _______________________________

 

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

  

 

 

 

Leggi l'intera sequenza di POESÌ