Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

25/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Le donne che guardano



Questo testo è l'elaborazione di L'aceto e le donne che guardano da me pubblicato inCostruzione della rima, Plecticà  2010. Il riferimento è alle ultime pagine del Vangelo di Marco (XV,40). Cristo è crocifisso, ne muore gridando, ma da lontano - come fossero vicine - innumerevoli donne ne spiano lo strazio, testimoniano l'assurdo che sono abituate a sopportare, a riconoscere nella loro quotidiana tortura, la guerra che non si placa e solo cambia maschera (“Erant autem mulieres de longe aspicientes”).

 

 

        

 

 

POESÌ  di Rino Mele

 

 

Le donne che guardano 

 

L'aceto gli corre sul volto, punge.

Lontano, una moltitudine di donne sulle pietre, ne spiano 

la morte, guardano 

ciò che non sono, estranee a quel tragico torneo - tra gli uomini e un Dio - nel doppio spazio del cielo 

e del Golgota: l'agone mostruoso in cui, a metà 

del giorno, Cristo 

coperto di sangue, l'aceto negli occhi, ripete un grido

fino al silenzio.

Gli uomini storditi

a salire e scendere scale, ficcare lance nei corpi, storcere un volto

nelle tenaglie, spingere spine in un cranio, 

inventare torture, inchiodare,

legare, scollare le ossa, togliere l'aria 

al respiro. 

Le donne guardano chiuse negli occhi, in testa scialli di terra rossa, 

del catrame spento

delle rose.

Al terzo giorno, sulla pietra vuota

il racconto dell'angelo ad altre donne, lievi, con gli unguenti

e le bende, e l'acqua 

col profumo dei fiori, e la paura – tremor

et pavor - per il corpo amato 

che non c'è più.

Per medicarne la pena, Cristo, il giorno dopo, da una di loro volle farsi vedere, lavato di cenere come un panno 

nella liscivia, così vicino 

che violava il pudore, 

gli occhi entravano negli occhi e, dietro, gli veniva

l'ululato dei morti. 

Parlarono come nei sogni, quando le parole mostrano volti dipinti, e il loro suono - quasi i tuoni d'estate - viene 

da lontano, e ritorna. 

 

 

 __________________________

 

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

  

 

 

Leggi l'intera sequenza di POESÌ