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24/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Primavera che non torna



Nel mito, Persefone (Proserpina per i Romani) è rapita dallo zio Ade (Dite) e portata a forza nel suo regno sotterraneo - l'Ade appunto - di cui diventa regina.  Ovidio, nel V libro delle Metamorfosiracconta la sbigottita angoscia della fanciulla rapita mentre, a gara con le compagne, raccoglieva fiori, ”conlecti flores tunicis cecidere remssis”. Il tonante Zeus (Giove), sollecitato dal dolore straziante della madre Demetra (Cerere), è costretto a rivendicare la propria figlia, e a costringere suo fratello Ade a restituirla almeno per pochi mesi, ogni anno. Quando Persefone ritornerà nel tripudio della terra materna, è la primavera a tornare.

 

 


 

 

 

 POESÌ di Rino Mele

 

 

 

Primavera che non torna

 

 

Inutile aspettarla, ha voltato le spalle, svanita

nel suo respiro. S'è girata sui piedi come su uno stelo. Invocata,

non ascolta: lontana sorride

della nostra stoltezza, ci irride, gioca a dadi con l’ombra che di

noi resta, la sopravanza

in un attimo, lasciandoci stupìti. 

Persefone è la primavera, ogni anno tornava fuggendo dallo

sprofondo dei morti

dove regna con lo zio terrificante, l'invisibile Ade. Ma ora, nel

brivido di quel freddo,

risalendo dal nulla, non riconosce più

i viventi, come fossimo

altri morti

e, tornandosene sul sentiero di quell'estrema notte, si nasconde

in un infinito dolore: sa

che siamo stati noi a violare la Dea Madre, Demetra,

la Natura che di sé innamora, 

la terra coltivata che aspetta la vanga rigeneratrice

e la freschezza dei frutti che dissetano nell'ombra calda 

del grano.

Persefone e la madre Demetra sono un sol corpo,

diviso dallo sguardo dei fiumi.

Meravigliati del delitto che abbiamo commesso fingiamo

d'aspettarle insieme,

le due donne, le dee luminose. Verrà una torrida estate,

e dimenticheremo l'attesa vana di quel nuovo vento: poveri di

tutto, abbiamo perso

l'inizio che si ripeteva, e la sua gloria.

Tra le ombre bianche dell'Ade e la nostra terra

avvelenata

non c'è più discontinuità: la stessa strada che stanca.

Siamo - ancora con il nostro volto - morti.

  

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

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