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23/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Prigioniero di guerra



Ricordo il giorno in cui, sublime eretica e teologa, Paola Inghilleri (Lettera al teologo, edizioni Ripostes, 2001)con incandescente ardore disse che non esiste il cattivo ma il “captivus”, il prigioniero. Infine, l’episodio di cui parlo negli ultimi versi - come un nodo che rifiuta di sciogliersi - è accaduto lunedì 18 marzo a Utrecht. 

 

 


 

 

POESÌ di Rino Mele 

 

 

Prigioniero di guerra

 

 

Il volto che nel tuo si nasconde,

l'ucciso che ognuno porta nel proprio silenzio, la colpa, 

come un solco di lama

sulla pelle, che stiamo sempre a cancellare.

Urtiamo contro quel fantasma: urla, e la sua pena aggiunge

alla nostra memoria.Chi eravamo siamo ancora: la paura della notte,

il freddo nudo, la ricerca di una tana.

La messa a morte del nemico, o di chi ha trasgredito, rimanda sempre

a un confine per il quale hai il diritto di uccidere (o, in tuo nome,

un altro lo può fare). Una linea di biacca in terra

segna la sopravvivenza,

ti muovi sempre contro qualcuno,

lui contro di te.

Le categorie morali

sono anche deformazioni dell’angoscia primordiale

del prendere e dell'esser presi

prigionieri,

come nella caccia l'animale.

Siamo diventati, tutti, consacrati

alla morte, c'è un re

sconosciuto che ha la nostra stessa mano, dice le nostre parole

alla rovescia come sognasse di parlare,

possiamo solo evitare di rispondere, non fare della sua volontà un

dialogo: ci mettiamo di scarto, a lato, sperando di

non essere proprio noi 

a saltare in aria

nella successiva esplosione.

Razionalizzata sul tagliere, inscritta nella rosa

cristallizzata del computer, la violenza

ad ogni angolo di strada

risponde ai singulti di un inascoltabile

pianto.

Quando, terrificante, appare, sappiamo di non essere

più l'immagine astratta di noi stessi, il sangue s'ingorga, sentiamo la

dimenticata larva del nostro corpo che

s'allontana.

Intanto a Utrecht per morire è bastato salire su un tram, tre morti

scappati via dalla vita

senza un fruscio, un respiro, lo scomposto affanno.

L’inaudito stupore che resta a chi scompare.

 

 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

 

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