Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

22/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Sulamita e il desiderio (dal Cantico dei Cantici)



Tutti i miei interventi, 40 versi scritti due volte alla settimana, da venerdì 16 novembre 2018, sono stati scritti sempre poche ore prima che fossero pubblicati. Oggi esco fuori da questo schema, proponendovi l'inizio della mia traduzione del Cantico dei Cantici, l'apoteosi festosa e senza respiro di Sulamita e il suo amato attribuita con incertezza a Re Salomone, quasi 1000 anni prima di Cristo (Giovanni Garbini ritiene che da una prospettiva linguistica “vi siano elementi sufficienti per datare ilCanticointorno al 100.C”) e che ho pubblicato, con a fronte il testo di San Gerolamo, sulla "Rivista di Epistemologia Didattica", diretta da Salvatore Cicenia, nel numero 7-8 di novembre 2011. L'eros e la bellezza sono strade ancora riconoscibili, se non percorribili, per salvarci? Nella devastazione dell'inarrestabile precipitare, l’uccidere uccisi cui ottusamente ci costringiamo - costretti - ad ogni ora, siamo ancora capaci di avvertirne il suono?

 

 

 

 

 

 

 

     POESÌ di Rino Mele

 

 

Sulamita e il desiderio (dal Cantico dei Cantici)

 

- Ma ora baciami con la tua bocca di baci,

I tuoi seni sono meglio del vino, e odorano

come intensi profumi. Un unguento

che soavemente penetra è il tuo nome e le ragazzes'invaghiscono di te nel desiderio. Tirami a te,

ti correrò dietro seguendo le tracce dei tuoi odori.

Come nella dispensa del re, se mi fai entrare nella tua camera:

già esultiamo godendo e, più del vino, penso ai tuoi seni.

È il sogno di una linea perfetta, amarti.

 

- Nigra sum sed formosa, sono nera ma bella,

ragazze di Gerusalemme,

come le tende di Cedar, come i trapunti tappeti di Salomone,

non fate caso al mio colore fosco, fu il sole a togliermi il

biancore, i figli di mia madre lottarono contro di me,

mi posero a guardia delle vigne,

ma io non ho saputo custodire la mia vigna.

 

- Dimmelo, tu che l'anima mia ama, dove porti

le pecore al pascolo, dove ti stendi a riposare nel meriggio.

Così smetterò di andare per le colline

a spiarti, sperdendomi dietro greggi non tue.

 

- Sei la più bella di tutte le donne, se non te ne sei accorta.

cammina dove le greggi non lasciano tracce

profonde, là porta i tuoi capretti passando

accanto alle dimore dei pastori. Ti paragono ogni istante ai miei

cavalli sotto i carri del Faraone, amica mia amorosa.

Il tuo volto è tenero come le tortore, il tuo collo

è prezioso, tesserò per te

una trasparente fascia d'oro con fili d'argento.

 

- Mentre il re sta sotto la tenda sdraiato,

il mio nardo diffonde il profumo, perché un fascetto di mirra è

l'uomo che amo quando

riposa tra i miei seni. Un grappolo di ligustri

Il mio amato nelle vigne di Engaddi.

 

- Come sei bella, come sei bella, amica mia,

coi tuoi occhi di colomba.

 

- Come sei bello amico mio con la tua forte grazia.

Il nostro letto è un prato di fiori, le travi

sono rami di cedro e il soffitto è l'ombra calda dei cipressi.

 

- Sono un fiore di campo, giglio delle sterpose valli.

 

- Sì, la mia amica è, tra le altre donne,

come un giglio tra le spine.

 

- Come un melo negli alberi

delle selve è, tra gli altri uomini, colui che amo.

Mi tengo dentro la sua ombra

e il suo frutto è dolce per la sete e la mia gola.

Mi portasti nella cantina, nell’odore del vino, 

mi facesti certa del piacere. Datemi spume

di fiori dolcissime, e frutta, perché l’amore mi toglie le forze.

La sua mano sinistra

è sotto la mia testa e con la destra

mi tiene stretta abbracciandomi tutta.

 

- Figlie di Gerusalemme, vi scongiuro per le capre e le cerve

che appaiono nei campi,

non svegliatela, finché vuole pascersi di sonno.

 

- Di chi è questa voce se non del mio amato, che per me

sale i monti, e salta lungo i colli incurvati?

È simile a una selvatica capra e a un giovane cervo. Lo vedo,

mi guarda al di là di un muro, mi spia attraverso una finestra, 

i suoi occhi mi seguono nascosti da un cancello

e così mi getta le sue parole, mi tocca con la sua voce.

 

 

________________________________________________________

 

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 


 

  

Leggi l'intera sequenza di POESÌ