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24/11/24 ore

Bologna: il Cinema Ritrovato gode ottima salute e regala una rara lezione di cinema


  • Vincenzo Basile

Il pregio maggiore di un Festival non competitivo come quello di Bologna o Lione o altri equivalenti, consiste nella quantità di grandi opere o capolavori che riesce a offrire, difficile da riscontrare tra quelli che hanno molta più visibilità, come Cannes, Venezia, Berlino o San Sebastian. Tante, troppe per citarle tutte o solo alcune, senza commettere gravi e ingiuste omissioni, le pellicole meritevoli.

 

Solo una, in chiusura di Festival, fuori dal programma ufficiale: Divorzio all’Italiana. Introdotta dal palco di Piazza Grande, da Giuseppe Tornatore, rivelatore del segreto che scatenò poi il successo internazionale del film. Prima però, un po’ di storia.

 

L’opera che segnò il felice passaggio di Pietro Germi dal cinema Drammatico alla Commedia, uscì nelle sale nel 1961.

 

Le prime proiezioni a Roma, nel cinema che oggi è diventato una boutique di lusso, andarono quasi deserte; solo poche decine di spettatori. Germi era a dir poco preoccupato. Si avvicinava il Natale e se il triste andazzo si fosse protratto la scelta sarebbe stata obbligata: ritirarlo dai cinema e accettare il fiasco. Fu deciso un espediente estremo. Il regista disegnò e fece ciclostilare un foglio dov’era raffigurato un uomo che scaraventava dalla finestra la propria moglie; con una didascalia che recitava: anno nuovo moglie nuova!  DIVORZIO ALL’ITALIANA.

 

L’avviso fu affisso a ogni angolo nel centro storico della capitale e distribuito a mano ma funzionò. Il 24 dicembre 1961 la sala fu gremita è il successo esplose fino a raccogliere a Cannes 1962 il premio come Miglior Commedia, a Los Angeles l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura e vari Nastri d’Argento, Bafta Awards e Golden Globe. È la nascita di un genere: la “Commedia all’Italiana”.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       A oggi, con i suoi 120.000 spettatori, la XXXII edizione ha stabilito il suo nuovo primato di presenze che comprendono, tra molte altre categorie di professionisti, i responsabili di numerose cineteche e delle riviste specializzate più seguite.

 


 

Tra queste Positif eil suo caporedattore, Michel Ciment.

 

Fondata a Lione nel 1952 e insediatasi qualche anno dopo a Parigi, la rivista è dai suoi inizi sempre stata attenta alle nuove tendenze internazionali e al contempo riguardosa verso la tradizione (non solo francese); la sua letteratura le conferisce internazionalmente un’autorevolezza equivalente  alla rivale  storica,  Cahiers du Cinéma, considerata da molti “La testata” di Critica Cinematografica. Molte le diatribe, a volte anche accese, tra le due “scuole”; tra le tante una in particolare ci riguarda: quella sul rilievo da attribuire alla cinematografia italiana.

 

La questione fu all’inizio condizionata dal fatto che i primi teorici dei Cahier divennero in pochi anni i registi più rappresentativi della Nouvelle Vague, succeduta al Neorealismo dunque, da esso storicamente influenzata e di conseguenza, pur controvoglia date le rispettive peculiarità, sua debitrice.

 

L’incontro tra il direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli con Michel Ciment, ripercorrendone i trascorsi, ha ricordato il sodalizio nei confronti del cinema italiano che dura da oltre mezzo secolo, grazie anche  al contributo initerrotto di studiosi italiani succedutisi all’interno di Positif: da Goffredo Fofi a  Gianni Volpi, da Paolo Meneghetti a Paolo Gobetti e  Lorenzo Codelli.

 

Più di altre riviste Positif ha posto  in risalto nei suoi approfondimenti, la debolezza della rigida  distinzione tra il cinema d’Autore e quello Popolare, mettendo in luce il valore, a lungo sottovalutato in patria, di registi come Pietro Germi, Dino Risi, Sergio Leone, Ermanno Olmi e altri.  Come ha scherzosamente precisato Ciment, la questione sul regista “c’est compliqué!”. “Non ha, a mio parere, alcun senso la cosidetta Politica dell’Autore sollevata e portata avanti da Truffaut, Godard e sodali; basti pensare che, già da quando  molti anni prima uscivano i lavori di Lang, Vertov, Visconti e  Clair, era indiscutibile che essi la perseguissero ben prima che fosse inventata dai Cahier”.

 


 

Seguono alcuni  aneddoti-verità che ben rivelano  i pregiudizi e i clichè sulle opere di cineasti italiani che oggi sono considerati i Maestri della tradizione più recente: come quando “a un pranzo a Cinecittà in compagnia di Sergio Leone ed altri critici americani la battuta fatta da uno di loro al regista: Messieur, voi siete il migliore autore di ‘Spaghetti Western’ non sortì l’effetto sperato dal suoautore. La risposta del regista, per nulla lusingato da quello che voleva sembrare un complimento, fu : “Non chiamatemi così, odio questa espressione. Ditemi, quando incontrate Kubrick gli chiedete per caso se è il maestro dell’ Hamburger Epico?”.

 

“Oggi, sostiene Ciment, il cinema di Sergio Leone è considerato l’apice del genere Western, tanto da surclassare John Ford, il suo antesignano.

 

Un altro episodio significativo accadde nel 2002, quando in occasione del cinquantesimo anniversario della rivista, 50 collaboratori di Positif decisero  di redigere una lista dei migliori film dell’anno successivo. Nel 1963, pur nella ricca produzione di titoli francesi,  i film ritenuti più importanti per Positif non furono Ophélia di Claude Chabrol o Le Carabiniers di Jean-Luc Godard, ma Il Gattopardo di Luchino Visconti, Cronaca familiare di Valerio Zurlini, ma anche film minori come Senilità di Mario Bolognini. Tutti autori appartenenti alla corrente neorealista italiana del decennio precedente”.

 

Ciment dichiara una profonda  stima anche per Francesco Rosi, “autore di grande levatura e  cineasta che fonde mirabilmente cinema e politica..” Racconta lo shock procuratogli dal film Salvatore Giuliano (1962) in quanto “sbalorditivo esempio di denuncia sociale”.

 


 

Infine alcune considerazioni dedicate a Marco Bellocchio e Pier Paolo Pasolini. Il primo  definito dall’ospite non solo  “il più grande cineasta italiano in attività ma anche il meno collocabile nella tradizione italiana”. La prova? Ne  I pugni in tasca (1975), suo primo film curato da Positif, “non è riscontrabile, l’influenza del neoralismo”. “Pasolini, invece, come Cocteau in Francia, dato l’enorme back ground da intellettuale, non è stato un cineasta puro ma un autore controverso, senza dubbio molto importante”.

 

E sugli autori di oggi? Garrone Sorrentino? Sintetico (o forse diplomatico, chissà):  “Fanno ottimi film”.

 

L’ultima domanda posta a Michel Ciment è sul destino futuro di Positif e sui rischi che la critica cinematografica corre oggi. “La qualità, il rigore, la fidelizzazione derivata dal prestigio, sono stati e continueranno ad essere il nostro  punto di forza nonostante la parziale erosione che la critica in generale sembra subire negli ultimi anni”.

 

“Quanto ai rischi, il pregiudizio intellettuale è un errore nel quale spesso incorrono i critici: ricordo che nel 1968, all’uscita nelle sale di 2001: Odissea nello spazio,il film di Stanley Kubrick,   fu stroncato in massima parte proprio dagli americani che lo definirono un film privo di immaginazione”.

 

Come ci si può allora proteggere dai rischi?

 

“Vous devez venir à la Cineteca di Bologna et aussi à la Cinémathèque Française!” Perchè, per Michel Ciment, non c’è cultura senza passato.

 

 

Cinema Ritrovato di Bologna XXXII edizione. Martin Scorsese il Padrino d’eccezione di V.B.

 

 


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