"Torneranno i prati" conferma ancora una volta il talento del grande regista Ermanno Olmi che alla veneranda età di 83 anni ci regala un’ altra significativa opera.Apparso sugli schermi sia in Italia che all’estero in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, il film è una chiara condanna di tutte le guerre anche se si concentra soprattutto sulla descrizione del drammatico squallore di una trincea dopo i sanguinosi scontri del 1917.
In un avamposto delle linee italiane situato a Nord-Est, un febbricitante capitano (F. Formichetti), un maggiore (C. Santamaria) e un giovane tenente (A. Sperduti) sono costretti ad obbedire a ordini insensati che mandano i soldati al macello come bestie. Tra grandi silenzi rotti solo dal vitale e poetico canto di un napoletano, commenti in dialetto e improvvisi scoppi di granate, la vita della trincea scorre lenta nell’ attesa della posta, unico legame con le famiglie lontane insieme alle foto sbiadite sul muro, oppure della distribuzione del rancio, una brodaglia scura che dà un po’ di calore.
Paesaggi da togliere il fiato pur nella follia collettiva della guerra sono ammirati da giovani soldati stupefatti davanti alla bellezza della Natura animata da alberi e animali capaci di dar conforto: un umile larice, una volpe, un piccolo topo, compagno di branda.
Come in tante opere di Olmi, la narrazione è lenta, indugia sui visi, scava dentro, si serve di dialoghi essenziali, in un lampo si colora d’improvvisa vivacità per sottolineare i momenti più drammatici e le immagini parlano, sono poesia pura che illumina i personaggi svelandone l’anima.
Ricoverato in ospedale per controlli medici, il regista ha spiegato in un videomessaggio il motivo della dedica a suo padre nelle didascalie finali del film, affermando quanto segue: "Mio padre aveva 19 anni quando venne chiamato alle armi. A quell'età l'esaltazione dell'eroicità infiamma menti e cuori soprattutto dei più giovani. Scelse l'Arma dei bersaglieri, battaglioni d'assalto e si trovò dentro la carneficina del Carso e del Piave, che segnò la sua giovinezza e il resto della sua vita. Ero bambino quando lui raccontava a me e a mio fratello più grande del dolore della guerra, di quegli istanti terribili in attesa dell'ordine di andare all'assalto e sai che la morte è lì, che ti attende sul bordo della trincea. Ricordava i suoi compagni e più d'una volta l'ho visto piangere. Ora celebriamo il centenario di quella guerra, con discorsi e bandiere…. Mi auguro che in queste celebrazioni si trovi il modo di chiedere scusa ai tanti soldati che abbiamo mandato a morire senza spiegare loro perché. Della prima Guerra Mondiale non è rimasto più nessuno di coloro che l'hanno vissuta e nessun altro potrà testimoniare con la propria voce tutto il dolore di quella carneficina. Rimangono gli scritti: quelli dei letterati e quelli dei più umili dove la verità non ha contorni di retorica".
In effetti è un pastore (Toni Lunardi) che alla fine del film descrive la guerra come "una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai" e così nei luoghi in cui tanti giovani morirono "ritorneranno i prati" e l’oblio.
Giovanna D’Arbitrio