di Vincenzo Basile
Un’edizione, quella appena conclusa, che vanta, oltre all’ottima selezione delle opere presentate, lo storico risultato che conferma la continua crescita della manifestazione. Sarà infatti il SCI+FI FF 2015 ad ospitare il premio Méliès d’Or della European Fantastic Film Festivals Federation (E.F.F.F.) al miglior lungometraggio di Science-Fiction di tutta Europa.
A vincere il premio ASTEROIDE 2014 è l’americano Bradley King con il suo Time Lapse, storia di tre giovani che scoprendo casualmente una fotocamera in grado di fotografare il futuro, comprometteranno irrimediabilmente le loro esistenze. La motivazione della Giuria Internazionale presieduta dal regista Enzo G. Castellari e composta da Daniel Cohen, direttore artistico dello European Fantastic Film Festival di Strasburgo, e da Tomaž Horvat, produttore e fondatore del Grossmann Film Festival, ha rimarcato "il brillante risultato raggiunto dal regista nonostante un limitato budget, grazie a una sceneggiatura intelligente e ricca di suspense".
Il premio Nocturno, assegnato dall’omonima rivista specializzata, e la Menzione Speciale della Giuria Internazionale vanno a Honeymoon, opera prima della giovanissima regista americana Leigh Janiak che mescola efficacemente Fantascienza e Horror raccontando di come una spensierata, felice luna di miele possa trasformarsi in un incubo infernale a causa dell’invadenza di misteriose entità silvane.
A Index Zero di Lorenzo Sportiello va invece il Méliès d’Argento che gli vale la candidatura alla finale europea per il Méliès d’Or 2014 a Strasburgo.
Qui il tema è l’immigrazione clandestina di una coppia, con figlio in arrivo, verso i distopici USE (Stati Uniti d’Europa) di un imprecisato futuro. Anche in questo caso si tratta dell’esordio di un giovane regista con un basso budget alle prese con dei temi presi dallo scenario economico e sociale contemporaneo. Il riconoscimento vuole premiare "la scelta, in controtendenza rispetto ad altri pur pregevoli titoli della sezione destinati a una sicura visibilità, di recuperare tempi narrativi dilatati in aperto contrasto con la frenetica contrazione dei ritmi imposta dal consumo e dal mercato".
Il nuovissimo Premio Wonderland, il magazine di Rai-4 dedicato alla fantascienza, va a COHERENCE di James Ward Byrkyt, sui temi della fisica teoretica e degli universi paralleli. Durante il passaggio di una cometa perfettamente osservabile dalla Terra, tre coppie di amici incontrano i loro multipli doppi che emergono da dimensioni tra di loro contigue. Un Opera Prima che ha "l’insolito merito di riuscire a trattare un tema alto in maniera godibile e avvincente".
Fuori concorso sono due i grandi Eventi:
Hard to be a God, ultimo film di Aleksei German prima della sua scomparsa nel 2013.
Adattamento del romanzo cult del 1969 di Boris e Arkady Strugatsky, sceneggiato dallo stesso regista e dalla moglie Svetlana Karmalita e realizzato nell’arco di 15 anni di riprese continuamene rivedute e corrette, esibisce una fotografia in B/N di efficacissima suggestione nel combinare l’equilibrio di ombre e luci del pianeta Arkanar, sul quale viene inviata in missione una equipe di scienziati terrestri che deve prendersi cura di un’umanità imbestialita dal lerciume morale e materiale in cui è immersa. Fetida e catarrosa, essa sopravvive oppressa da un regime totalitario che cerca di mantenerla nella più assoluta ignoranza, in un’epoca equivalente al medioevo terrestre, tra cospirazioni, tradimenti e ogni genere di infamità, asserragliata in un castello assediato da nemici.
Il Dio-Re del minuscolo regno (l’eccellente protagonista Leonid Yarmolnik) passa quotidianamente in rassegna i suoi soldati e il suo popolo che è anche la sua corte e si intrattiene con loro. Sono i dialoghi a rivelare il mondo allucinato in cui si muovono i personaggi, tutti a tinte più che fosche, che passano la loro vita a truffarsi e a millantare presunte autorità in un’apoteosi di sopraffazioni senza limiti. Il ritmo è sostenutissimo e l’impianto registico immane nel sostenere i movimenti incessanti di uno sviluppo narrativo intenso quanto sofisticato, stilisticamente impeccabile per coerenza, varietà e ambientazioni. Grande fu l’ammirazione suscitata nei confronti del film al Festival di Roma 2013 ed espressa, tra i molti, anche da Umberto Eco e Marco Muller.
Jodorosky’s Dune è il documentario del croato-americano Frank Pavich, in cui il grande regista cileno illustra la genesi del film che avrebbe potuto cambiare la storia del cinema di Fantascienza: la libera trasposizione del romanzo di F.P.Herbert per la quale furono riuniti nel cast Mick Jagger, Salvador Dalì, i Pink Floyd, Mike Oldfied, Moebius e Orson Welles. Opera che non fu mai realizzata a causa delle diffidenze e dei dubbi che gli Studios, pur convinti della qualità del progetto, sollevarono circa il rispetto del considerevole budget (15 milioni di dollari degli anni ’70) da parte di un regista noto per le clamorose sforature di bilancio. Non si tratta però della storia di un fallimento ma al contrario di quella di un sogno che procede per continua evoluzione di idee e stimoli che continuano ancora oggi a sgorgare dalla inesauribile, geniale creatività di un ultraottantenne con la verve di un adolescente.
Come quando dal palco della Sala Tripcovich, racconta il suo passaggio dalla tristezza più profonda alla gioia più totale rendendosi conto, durante la visione dell’altro Dune (quello di David Lynch, autore da lui grandemente stimato) che si tratta di un "film orribile" che mai avrebbe potuto competere con il suo, se fosse arrivato un giorno nelle sale.
Uno psico-mago che ha ancora molto da dire incantando della sua verità chiunque gli presti attenzione. Grazie a un innato carisma e alla sua fantasmagorica, traboccante joie de vivre.
Vincenzo Basile