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17/11/24 ore

Venezia Film Festival 2014: sorprende la 'nadrangheta di Munzi e il Medio Oriente privato della Rakhsshan



Anime Nere di Francesco Munzi, primo dei tre film italiani in concorso apparso in sala, è un noir di mafia atipico rispetto alla tradizione di genere (Scorsese,Garrone ecc.), soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo della trama.

 

Le atmosfere, tra Africo, Platì e San Luca sono fosche, cupe, come il cielo insolitamente  plumbeo di un Aspromonte sempre più scisso tra atavismo e contemporaneità, dove parla l'ermetico dialetto locale e il multilinguismo dei calabresi che si trovano  immersi in uno scenario internazionale.

 

In primo piano il conflitto culturale all'interno della famigghia protagonista della storia che deve affrontare la classica faida per il controllo del territorio.

 

Credibilissimi gli attori (professionisti e non), calabresi per nascita o meticolosa acquisizione linguistica (inclusa la pertinente estranea Barbora Bobulova) e efficace la regia di Francesco Munzi che continua il discoso iniziato con Saimir nel 2004, sempre quì a Venezia nella sezione Orizzonti.

 

"Ho cercato di evitare i cliché di genere-precisa il regista-, dallo spettacolarismo alla mitizzazione ed  epicizzazione dei criminali che vestono la sobria semplicità dei contadini e dei manovali della provincia meridionale. I luoghi appaiono nel loro autentico, ordinario squallore urbanistico, coerenti alle situazioni narrate comunque con un adeguato distacco critico.

 

"La vera guerra è quella tra i fratelli" e raggiunge puntualmente il suo tragico, inevitabile esito. "Lanciare messaggi comporta sempre l'ingabbiamento di un film in un percorso obbligato che abbiamo voluto evitare". Ma un'indicazione rimane inequivocabile, sia nel romanzo omonimo di Giocchino Criaco da cui liberamente discende che nel film: per combattere le mafie bisogna combattere prima di tutto il mafioso che è in noi. Un noi ormai internazionalmente diffuso e stratificato, senza più distinzioni di dialetto e lingua. La "Questione" non è più solo meridionale nè tantomeno, esclusivamente Italiana.

 

 

 

Ghesseha (Racconti) "riesamina le sorti e le condizioni sociali delle persone dei miei lavori degli ultimi trent’anni nelle circostanze attuali", spiega l’iraniana Bani-Etemadi Rakhsshan.

 

Storie di affetti familiari, di amori difficili, di vite quotidiane tra gli stridenti contrasti della commistione tra l’antico e il nuovo regime, entrambi controversi, in un paese che in trent’anni ha triplicato la sua popolazione, con le ovvie conseguenze che tale cambiamento porta con sé.

 

 

Tinte forti, anzi fortissime, quelle raccontate dal texano Joshua Oppenhemer che torna sui luoghi del suo precedente The Act of Killing (indagine sul milione di vittime dell’epurazioni anticomuniste di Suharto) per approfondire la banalità di quel male, esempio e pretesto di tutti gli altri.In questo The Look Of Silence sono gli aguzzini superstiti a raccontare le sevizie e gli sfrenati sadismi degli squadroni della morte a un optometrista fratello di una delle vittime, infilratosi tra di loro.

 

Uno di quelli che nelle lunghe notti sulle rive dello Snake River indonesiano sgozzava i dissidenti e poi, dopo averne ingurgitato il sangue e averli smembrati,ne spezzettava i cadaveri. Le immagini non vengono mostrate ma non si può certo dubitare di una così schietta sincerità: parola degli Ufficiali autori di quei fatti.Daltronde...c'est la guerre !

 

The President, ultima fatica di Modhsen Makhmalbaf,  è un variegato apologo pacifista sulle contraddizioni che le rivoluzioni violente provocano nel futuro del paese in cui si verificano.Ma non solo.

 

 

Girato in Georgia, paese in piena rinascita cinematografica, forse l’unico in Europa a detta del regista, attualmente disponibile ad avere il coraggio di ospitare una produzione come questa, per la libertà e disponibilità che offre riguardo ai temi legati alla cultura dell’antiviolenza. Un anziano despota di una non precisata nazione dell’Est Europa si trova costretto a fuggire insieme al nipotino di cinque anni in seguito al deflagare di una rivoluzione interna, sperimentando l’assunto del film. "Mandela e Gandhi sono troppo pochi come icone del pacifismo.

 

Le rivoluzioni utilizzando pratiche aggressive ripropongono la prepotenza dei dittatori che vogliono spodestare e inevitabilmente ciò pone la basi per l’insediamento di un nuovo e spesso peggiore tiranno, come la Storia continua ha dimostrare (Iran,Iraq,Siria ecc.)".

 

Efficacemente straniante il tocco del regista nel filmare le scene di violenza svelandone i meccanismi di generazione e scatenamento. L’effetto è tale da produrre una sorta di consapevole distacco dalla mostruosità a cui si assiste, che si  astiene tuttavia da facili, scontati giudizi etici.

 

Come annunciato il primo dei due Leoni d'Oro alla carriera è stato consegnato questa sera da Michel Piccoli al filmaker americano Frederck Wiseman, alla presenza del direttore del Festival Alberto Barbera.

 

Vincenzo Basile

 

Venezia Film Festival 2014, venti di guerra di V. B.

 

 


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