Il film di Brian Percival “Storia di una ladra di libri” in questi giorni sta riscuotendo grande successo di pubblico in Italia: tratto dal romanzo “The book thief” di Markus Zusakche, e vincitore in Australia ha vinto dei premi come testo educativo per giovani (Ala Best Books for Young Adults, Michael L. PrintzHonour Book), il film racconta con un tocco poetico e gentile la drammatica storia di Liesel, una storia ricca di ideali e valori costruttivi.
La pellicola inizia con la voce fuori campo dell’Angelo della Morte che descrive quanto accade su un treno: una madre viaggia con due figli, una ragazzina, Liesel, e il suo fratellino che muore all’improvviso e viene sepolto in un campo accanto ai binari dove al becchino cade dal taschino un manuale per la sepoltura.
La piccola Liesel Meminger lo raccoglie e lo porta con sé nella casa dei genitori adottivi, Hans e Rose Huberman, ai quali la madre è costretta ad affidarla per sfuggire alle persecuzioni naziste. In un piccolo villaggio tedesco, Liesel inizia la sua nuova vita: diventa amica del dodicenne Rudy Steiner che s’innamora subito di lei, va a scuola dove viene derisa perché analfabeta, impara finalmente a leggere con l’aiuto del sensibile e tenero Hans utilizzando il primo libro “rubato”, il manuale per necrofori, e una sorta di alfabeto dipinto da Hans sui muri della cantina.
Durante i festeggiamenti per il compleanno del Fürher, quando centinaia di libri vengono accatastati e bruciati, ella ruba il suo secondo libro salvandolo dalle fiamme e poi continuerà a “rubare” testi (o meglio a “prenderli in prestito” di nascosto) nella casa del sindaco, sempre più affascinata dalla cultura. Intanto la persecuzione contro gli Ebrei incalza e durante la famigerata “notte dei cristalli” arriva il giovane MaxVandenburg che chiede aiuto e rifugio a Rose e Hans.
Nella cantina degli Huberman nasce tra Liesel e Max una profonda amicizia. Il giovane ebreo le farà un prezioso dono: un libro- quaderno ricavato imbiancando le pagine di “Mein Kampf” sul quale egli scrive in ebraico la parola “Vita”, una speranza per il futuro nonché una sollecitazione ad imprimere su di esso la magia delle parole con la scrittura.
La guerra avanza velocemente con la sua violenza e distruttività sotto gli occhi innocenti dei bambini, travolgendo anche il piccolo villaggio dove pochi si salveranno dai bombardamenti. Ritorna allora la voce narrante dell’Angelo della Morte, una voce piena di umanità e compassione di fronte ai mali della Terra.
Pur raccontando drammatici eventi, il film non è triste poiché alla fine trionfa la Vita con i suoi valori positivi e con indimenticabili personaggi che restano impressi nella mente e nel cuore: il piccolo Rudy “dai capelli color limone” che sogna di diventare un campione come il nero J. Owen, molto innamorato di Liesel e disposto a morire per un suo bacio; il coraggioso e gentile Hans con l’inseparabile fisarmonica; Rose, “burbera benefica” che nasconde un cuore tenero sotto l’apparente durezza; Max, pieno di ideali e speranze che insegna a Liesel la magia nascosta nelle parole, intuendo in lei l’attitudine alla scrittura.
Ed infine come dimenticare quelle scene in cui Liesel legge a Max, malato e febbricitante, pagine immortali di grandi autori per aiutarlo a vivere, oppure quelle in cui ella racconta le storie apprese nei libri alle persone impaurite ed ammucchiate negli scantinati durante i bombardamenti. La sua voce rassicura tutti e sconfigge la paura, superando il frastuono delle bombe: il potere della “cultura che è vita” contro quello della “guerra che è morte”.
Un film poetico che tutti dovrebbero vedere, soprattutto i giovani, senza trascurare la lettura del libro da cui è tratto. Bravissimi gli attori, in particolare Geoffry Rush (Hans), Emily Watson (Rose), Sophie Nélisse (Liesel), Ben Schnetzer (Max), Nico Liersch (Rudy), notevoli la sceneggiatura di M. Petroni, la fotografia di F. Ballhaus, la colonna sonora di J. Elliot.
Giovanna D'Arbitrio