“Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona” cantava Gaber. Berlinguer chi? chiedono i figli e le figlie di un muro abbattuto un quarto di secolo fa. “Il commissario?”, “il francese?”, il “cantautore di sinistra”? No, risponde Walter Veltroni, raccontando a quanti non hanno memoria gli anni lontani di quell'uomo schivo, minuto, forte, solitario.
Perchè 'Quando c'era Berlinguer', sembra voler dire l'ex sindaco capitolino al suo primo 'incarico' da documentarista, forse c'era una coscienza politica oggi dimenticata, sconosciuta, calpestata come pagine di un giornale sull'asfalto di quella piazza San Giovanni vuota dopo i funerali del segretario di un Pci le cui bandiere non sventolano più.
C'è la volontà di riavvicinare lo spettatore alla storia, nel film di Veltroni, ma c'è anche il bisogno romantico, mai agiografico, di ritrovare il sentimento perduto del 'fare politica', di ripercorrere i passi di un uomo e insieme di una Sinistra che si riscopre oggi frammentata, smarrita, priva di quell'identità forte che proprio Berlinguer ha incarnato per una fetta d'Italia in oltre un decennio di vita istituzionale.
Il regista Walter – di gran lunga migliore del politico – si avvicina alla figura del leader sardo, a trent’anni dalla sua scomparsa, con palpabile emozione, da 'testimone' devoto, riscoprendo i luoghi e le persone che hanno segnato l'anima e l'azione di Berlinguer, componendo il ritratto dell'uomo inscindibile da quella del segretario del partito comunista più grande d'Occidente.
Veltroni rispolvera materiali d'archivio, assembla le interviste ai protagonisti dell'epoca (e di oggi) - Giorgio Napolitano, Emanuele Macaluso, l'ex br Alberto Franceschini, Eugenio Scalfari o il padre della perestrojka, Mikhail Gorbaciov – torna in Sardegna, vola sulle piazza, rivive tribune, riascolta comizi.
Con minuziosa, emozionata precisione, il fondatore del Partito Democratico parte dal referendum sul divorzio del 1974 e arriva lì, alle due morti di Berlinguer: alla prima, in quell'auto ritrovata in via Caetani, quando col corpo di Aldo Moro viene sotterrato anche il feto di quel compromesso storico abortito prematuramente; e poi alla seconda, l'11 giugno 1981, a 62 anni, quattro giorni dopo esser salito sul palco di Padova, quando un ictus lo rende muto per sempre.
In mezzo ci sono i giochi di potere, c'è la Madre Russia e il Vietnam, l'ombrello Nato e la vittoria alle elezioni del '76, c'è la ferocia e la disillusione, c'è il dialogo e il monocolore del terzo governo Andreotti.
Una pellicola scandita dalla voce narrante di Veltroni, di Toni Servillo (che rilegge alcuni scritti di Berlinguer dal carcere) e di Sergio Rubini (che interpreta gli 'Scritti Corsari' di Pasolini) e magistralmente musicata dal famoso pianista Danilo Rea e dalla voce nostalgica di Gino Paoli.
Un lavoro che, evitata per un pelo la deriva forse vagamente propagandistica (il film esce nelle sale esattamente due mesi prima delle elezioni europee), riesce ad girare a largo dal pericoloso iceberg della retorica, mantenendo tenacemente la giusta rotta del recupero del passato. In quale presente è destinata ad approdare, questa nave della memoria, è però tutta un'altra storia.
Perchè ad esser stato dimenticato non è solo il nome di Berlinguer, ma soprattutto il ricordo di come si naviga verso il futuro. Anche col mare in tempesta. Perchè, disse una volta un comunista, “la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente”.