Strappalacrime. Didascalico. Deludente. Adattamento per il grande schermo di un articolo pubblicato nel 2008 sul Washington Post, The Butler è la biografia ampiamente romanzata di un maggiordomo afroamericano alla Casa Bianca.
Eugene Allen (questo il vero nome del protagonista Cecil Gaines, interpretato da Forest Whitaker) ha servito dal 1952 al 1986 ben otto presidenti degli Stati Uniti d'America, da Harry Truman fino a Ronald Reagan. L'articolo di Aisha Harris per Slate (“Quanto c'è di vero in The Butler?”) mette a nudo le numerose “licenze” prese dal trentanovenne sceneggiatore Danny Strong, noto al grande pubblico per avere recitato nelle serie televisive Una mamma per amica e Buffy l'ammazzavampiri.
Roghi, scontri, arresti e omicidi eccellenti (quelli di John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King) che hanno caratterizzato la lunga marcia per i diritti civili degli afroamericani vengono messi diligentemente in fila dal regista Lee Daniels, ma non colpiscono più di tanto.
Buona parte della pellicola si fonda sulla contrapposizione tra Cecil, il maggiordomo quasi contento di servire i bianchi (un “negro da cortile”, per dirla con Malcolm X), e il figlio maggiore Louis, ribelle sempre in prima fila nelle proteste antisegregazioniste.
Da notare un particolare di non poco conto: Louis non esiste. È questa una delle “licenze” di Strong, e la sua funzione nel contesto narrativo è più che comprensibile. Ciononostante il manicheismo di questo artificioso contrasto risulta spesso inverosimile: nel film il figlio immaginario di Cecil/Eugene non perde un solo appuntamento con la storia degli afroamericani, passando da Martin Luther King (di cui è perfino amico) alle riunioni con le Pantere Nere. Forzature destinate a finire in secondo piano grazie all'interpretazione dolente di Forest Whitaker.
Il cast, malgrado il budget contenuto per gli standard hollywoodiani (“soltanto” trenta milioni di dollari), è stellare. Basti pensare ad alcuni dei presidenti di The Butler: Robin Williams (Eisenhower), John Cusack (Nixon) e Alan Rickman (Reagan).
Lee Daniels sa il fatto suo ma, oltre al successo riscosso nelle sale (più di 150 milioni di dollari), c'è davvero ben poco di cui rallegrarsi. Si tratta infatti di un compitino patinato e formalmente impeccabile che non rende però giustizia alla straordinaria vita di Eugene Allen.
La scrittura di Strong può andare bene per la tv (sono suoi gli ottimi prodotti televisivi Recount e Game Change), ma il grande schermo richiede maggiore personalità, se si vuole lasciare il segno.