Philomena (Lee) di Stephen Frears, è la storia vera di una quattordicenne rimasta incinta a 14 anni dopo aver perso la madre a 10, nell’Irlanda nel 1952. Per questa colpa la peccatrice, a cui l’atto incriminato è addirittura piaciuto, come rileva disgustata “Madre” Hildegarde, viene segregata nel convento di Roscrea.
Dove le suore, oltre a comminarle, com’è d’uso in casi simili, quattro anni di lavori forzati in lavanderia e a pretendere a fine pena le 100 sterline di riscatto come condizione per lasciare l’Istituto (ma in che modo procurarsele non è dato anche solo immaginare), la separano dal figlioletto per darlo in adozione, alla tariffa corrente di mille sterline, ai benestanti compratori americani. Clienti a caso tra i tanti, le dive di quegli anni Jane Russel e Jane Mansfield.
Cinquant'anni dopo ormai decisa a ritrovarlo, nonostante le menzogne delle monache, la donna si muove alla volta degli USA. La spedizione viene organizzata e sapientemente condotta dallo snobbish Martin Sixsmith, giornalista-consulente governativo appena gentilmente silurato e quindi disoccupato in attesa di ricollocazione professionale. I due formano così la strana coppia che proprio nel confronto tra il consumato cinismo dell’uomo dalle altolocate frequentazioni e l’ingenuità fino alla naiveté di una donna del popolo, nonostante tutto ancora intrisa acriticamente di una fede semplice e persistente, rende scoppiettante di humor e gags comiche l’articolata vicenda.
“Philomena Lee è ancora in vita e non ha posto condizioni né dato indicazioni riguardo alla realizzazione del film. L'ho incontrata prima di iniziare le riprese", racconta l’attrice. “La sua ingenuità e il suo senso di umorismo sono fantastici, non li abbiamo esagerati nel film".
Inutile dire della protagonista, la Dench come sempre all’altezza e di Steve Coogan, che è anche coautore dell’ottima sceneggiatura. La storia procede coerentemente con grande equilibrio grazie all’attento montaggio e all’alternarsi vivace delle situazioni che variano dall’interno una drammaturgia di notevole spessore che convince e appassiona riscuotendo applausi alla fine di ogni proiezione.
E’ l’unico film, data la media qualità passata fino alla tornata di questa prima settimana di festival, a suscitare larghe e spontanee intese sulla sua candidatura al Leone d’Oro o, in subordine, a un riconoscimento molto prossimo.
Certo, un pizzico di buonismo in meno nel finale avrebbe probabilmente giovato al gusto più agro che dolce dato, sapientemente sin dall’inizio, più dalla buona/ingenua indiscutibile Philomena-Dench che dal disincantato/cinico Sixsmith-Coogan.
Je m’appelle Hmmm…di Agnes Troublé (Orizzonti) racconta un caso di ordinaria (così com’è dimostrato dall’89 % dei casi, secondo le statistiche sul fenomeno) pedofilia-incestuosa ovvero quella che avviene tra le mura del focolare, tra un disoccupato depresso e frustrato e la più grande, l’undicenne Céline, dei suoi tre bambini.
Il patetico Orco la farà franca protetto dal “muro familiare del non detto” mentre la tragedia si abbatterà sul salvatore innocente e buono, Peter, a sua volta in fuga da gravi perdite, che regalerà alla bambina un breve ritorno alla leggerezza dell’infanzia, passeggera a bordo del suo TIR rosso che attraversa le chiare sabbie delle Landes francesi.
Cammeo di Tony Negri che interpreta un vagabondo filosofo estimatore della lingua italiana “così efficace a esprimere l’amore in quanto legata alla gioia”, vecchio amico della regista transalpina alla sua opera prima ma da anni in posizione di gran rilievo nel Pret à Porter internazionale.
La Mostra celebra Tinto Brass, «l'anarchico che si nascondeva dietro ai culi»
Nel documentario di Massimo Zonin, a cui lo stesso Brass collabora, il biografo e assistente del regista veneziano tenta di rendere giustizia dell’etichetta di “culista” in cui dall’83 viene relegato, per dirla tutta, col suo accondiscendente beneplacito, con diversa accezione da critica e affezionato pubblico.
Ed è un Brass inedito quello che emerge dal racconto, sin dagli anni trascorsi alla Cinématèque Française di Parigi allievo di Roberto Rossellini, Henri Langlois e Joris Ivens, insieme ad altri giovani cineasti come Bresson, Godard, Truffaut.
Ai primi film italiani come i censuratissimi “Chi lavora è perduto”, “La vacanza”, “L’urlo”, “Col cuore in gola” in cui si rivela anarchico, ironico fustigatore della borghesia del tempo. Il “Disco volante” con un Alberto Sordi che interpreta i quattro personaggi principali rinchiusi in manicomio per aver visto i marziani.
A seguire poi il cinema sul potere “che censura i culi sullo schermo per poter meglio reprimere e sodomizzare quelli reali delle masse” con “Salon Kitty” e il “Caligula” prodotto da Bob Guccione, che schiera il cast stellare del quale Hellen Mirren , ma c’erano anche Peter O’ Toole, Malcom Mc Dowell e il due volte premio Oscar Sir Ken Adam, testimonia gli episodi più estemporanei.
In seguito a quel successo a Brass gli inglesi proposero Arancia Meccanica che al suo rifiuto fu affidato a Kubrick, ricavandone il capolavoro che conosciamo.
E il successo internazionale de “La Chiave” con Stefania Sandrelli e poi Franco Branciaroli che difende l’atteggiamento “giocoso-gioioso” dell’Eros secondo Brass che il moralismo, soprattutto italico, non gli ha mai perdonato.
”La sessualità che ci porta all’inferno, come in alcune pieghe di certo Pasolini, può essere anche consentita se rubricata come maledetta ma guai a presentare un Eros che vira al sublime, alle alte vette o semplicemente ti mette di buon umore…” . E la nota di Serena Grandi, rassicurata dal figlio a cui, appena diciottenne, fece vedere il suo Miranda.
Arrivando in fine al Brass odierno, personaggio mediatico e icona del piacere voyeuristico.
“Uno sperimentatore geniale, un inventore di sogni. Un vero grande artistail cui messaggio di libertà si imprime come un marchio a fuoco in ogni suo film. Questo film vuole raccontare un uomo controcorrente, che ama l’amore in un mondo che adora la violenza, il suo subire ogni censura portando sempre e comunque avanti un cinema che è primato della forma sul contenuto, del significante sul significato", la conclusione di Zonin e Maestro.
“Non eravamo solo ladri di biciclette” celebra quei dieci anni di nuovo cinema che, riponendo i telefoni bianchi di ispirazione spensieratamente Hollywoodiana, scaturì dall’assolutizzante attualità dell’irruzione della guerra: il Neorealismo.
I primi sintomi si erano timidamente manifestati già prima del conflitto ma fu il “Senso” di Visconti ad aprire significativamente il nuovo corso.
Nel percorso guidato da Carlo Lizzani, a quel tempo esordiente controfigura di Gassman, incapace di ballare il rock’n roll in Riso amaro, si susseguono le interviste a Bertolucci, Interlenghi, Stajola,Taviani, Scorsese, Olmi, Rotunno, Eco.
Tutti concordi nel riconoscere alla nuova corrente un rinnovamento nella grammatica e nella sintassi filmica che fu non solo nazionale ma globale, ridisegnando il rapporto tra il film e lo spettatore, a cui offriva uno sguardo non più guidato dal regista ma finalmente libero di trovare il suo personale itinerario. E dal film il libro omonimo che sarà presentato in Mostra nei prossimi giorni.
Accoglienza da superstar con centinaia di fans per l'ex maghetto della saga di "Harry Potter".
In Kill you darlings Daniel Radcliffe è Allen Ginsberg che si innamora della trasgressione e di Lucien Carr ma ci sono anche Burroughs e Kerouak . Ben presto, quando il biopic si traduce in noir, Carr si innamora a sua volta di David Kammerer e lo fa passionalmente fuori. Interessante come lato oscuro di una beat generation dalla quale, al di la del bene e del male, continuano ad emergere risvolti poco noti.
In Moebiusdi Kim Ki-duk “La trama o l’espressione di una scena possono apparire oscure, a seconda del livello di comprensione di ciascun membro del pubblico. Io spero che gli spettatori adulti siano in grado di discernere le sfumature e di capire le mie intenzioni. Come regista, il fatto di dover tagliare delle scene è un peccato, ma in un contesto di mercato in cui i principali film dominano i cinema, non potevo rinunciare a quest’opportunità di uscita conquistata con fatica dal film”.
Questa la dichiarazione del regista dopo il taglio delle 21 scene che la censura coreana gli aveva imposto in cambio del visto.
Splatter, grand guignol, farsa, triller, commedia, tragedia a fosche tinte come si diceva una volta, molti sono i generi che il regista attraversa e mescola in una struttura da racconto morale di ispirazione dichiaratamente buddista.Violenze, incesti, suicidi, omicidi, tutto sembra metafora del Sistema Famiglia riflesso del più ampio Sistema Umano e del suo brancolare nel caos privo di senso che sembra essere il punto di arrivo anche dell’altro film che era atteso tra ieri e oggi, the Zero Theorem di Terry Gilliam con il bravissimo Christopher Waltz.
Il primo non indica soluzioni alternative alla consapevolezza che alla fine dissolve le illusorie verità rivelate, mentre l’americano compie la quadratura del cerchio aderendo alla fede nel Caos assoluto che governa l’universo, accontentando così credenti e nichilisti. La prova? Ma è scientifica: Il Teorema del titolo, secondo il quale lo Zero è uguale al 100 %!
Impegnativo da vedere per la crudezza delle scene il primo, gradevolissimo per ambientazione,costumi, ritmo e leggerezza il secondo è impresa facile prevedere quale dei due farà il botto al box office.
“Il Caos”, come ha da tempo intuito il Grande Fratello Mr.Menagement, interpretato da Matt Damon, “è un affare gigantesco, non lasciamocelo scappare”. Ed è in tale impresa coadiuvato dall’ottima Mélanie Thierry e da un’irriconoscibile Tilda Swinton, intransigente psichiatra virtuale.
Tra gli sbarchi di oggi al Lido sono attesi: Louis Garrel (The Dreamers), Patrice Leconte, Gianni Amelio e Antonio Albanese (L’intrepido) e Andrej Wajda, al quale verrà attribuito il premio Persol 2013 dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e da Persol che insieme “intendono celebrare una leggenda del cinema internazionale”.
In quota rosa tra tanti uomini, l’aliena Scarlett Johansson che in “Under the skin” di Jonathan Glazer farà strage di umani irretiti dal suo irresistibile magnetismo di predatrice. La produzione del film fa sapere che, a causa di un guasto al suo disco volante, sbarcherà come tutti gli altri umani, da un comune motoscafo.
Vincenzo Basile
Venezia Cinema 2013. Gravity, serata di gala in Laguna e deludenti ma adorate stelle al Lido di V.B.
Venezia Cinema 2013: fronte Hollywoodiano compatto, produttori italiani contro la politica di V.B.